Articolo di Melania Torrisi
Nonostante l’informazione “fai da te” la maggior parte degli utilizzatori di sigarette tradizionali è convinto che i prodotti nuovi, “smoke free” facciano meno danni alla salute. Ma cosa ci dice il primo rapporto del Censis sul fumo di sigaretta e prodotti senza combustione?
Il focus dell’indagine ha coinvolto ben 1300 utenti italiani dai 18 anni in su e ha riguardato, da un lato il rapporto tra innovazione e sostenibilità, dall’altro il processo di metamorfosi del rapporto tra cittadini e sigarette tradizionali o prodotti senza combustioni.
La Responsabile dell’Area Welfare e Salute del Censis, Ketty Vaccaro, sottolinea che l’indagine svolta per il 2021 ha voluto indagare sull’opinione e sulle conoscenze dei nuovi prodotti da una parte e la percezione su tutti i prodotti da fumo dall’altra. Il target a cui ci si è rivolti può essere poi individuato ed analizzato attraverso due fasce: la prima che comprende i fumatori abitudinari di lungo corso, che vanno dai 20 ai 30 anni di fumo; la seconda ingloba quelli tradizionali, che hanno oltre i 64 anni di età, e che in maggioranza sono donne, le quali sembrano preferire le classiche sigarette ai prodotti senza combustione, di cui ne usufruiscono di più gli uomini.
La percezione del rischio segue il trend graduato della pericolosità dei dispositivi presi in analisi. Oltre la metà della popolazione sondata pensa che i prodotti senza combustione siano meno pericolosi delle classiche sigarette, ma in realtà questi vengono percepiti come utili per smettere progressivamente di fumare.
Giorgio Vittadini, della Fondazione per la Sussidiarietà sostiene che “I piaceri, entro certi limiti, sono positivi” e che “Stare da soli fa fumare di più” sottolineando così la centralità dei comportamenti individuali e la dannosità e la gravità della frequenza.
Ma perché si fuma e si inizia a fumare?
“Purtroppo, su coloro che dovrebbero smettere di fumare dobbiamo convenire che soltanto il 10% ci riesce. La lotta che il medico compie deve essere quella dell’abolizione totale del fumo, perché questo è il nostro ideale, anche se non sempre gli ideali si raggiungono. Molto spesso, anche in altri campi come nella gestione dell’ipertensione, del colesterolo o del diabete, non riusciamo a raggiungere i target che ci siamo proposti. Quindi non vedo perché non si debba quantomeno valutare l’ipotesi di una riduzione del rischio, attraverso strade che aspettano il nostro lavoro per una dimostrazione clinica efficace e che riducono le componenti tossiche. Dalla ricerca Censis emerge che del 20% che è passato ai prodotti smoke free un 4-5% è poi riuscito a smettere; quindi, potrebbe essere una via da prendere in considerazione, certamente da non demonizzare”.
Queste sono le parole del Presidente di Fondazione Fadoi, Andrea Fontanella, riportate da AdnKronos, a margine della presentazione al Cnel del primo Rapporto Censis su fumo di sigaretta e prodotti senza combustione in Italia.
Ciò che emerge è che tutti i fumatori intervistati riferiscono che almeno una volta il medico ha detto loro di smettere, in alcuni casi di ridurre il fumo, però solo il 7% è stato indirizzato a un centro antifumo. L’informazione al riguardo dovrebbe essere potenziata, anche tramite i new media, così da poter prendere in considerazione tutte le fasce d’età. Inoltre, bisognerebbe cercare di dare concretezza all’ipotetico desiderio di concludere il rapporto con le sigarette, anche tramite il passaggio a prodotti smoke free, che indica proprio questa intenzione: avere un prodotto che fa meno male e aiuta a smettere. Essere, dunque, indirizzati su strategie di riduzione del danno ed avere un giusto sostegno potrebbe salvare qualche vita in più.