Ancora una puntata della nostra rubrica “Stare bene senza fumo“. Oggi, al microfono degli esperti della Lega Italiana Anti Fumo abbiamo invitato il dott. Fabio Beatrice, autore dell’ultimo libro dal titolo “La verità sulla sigaretta elettronica” che, proprio per i temi affrontati e le argomentazioni date, ha riscosso un particolare successo mediatico nelle ultime settimane. Come hanno scritto i giornalisti, si tratterebbe: “del libro che svela davvero come dire addio alle convenzionali bionde”.
- Dottore, Lei ha spesso dichiarato che l’utilizzo della sigaretta elettronica potrebbe migliorare la situazione salvando la vita a milioni di persone. A tal proposito, come vede la proposta inglese di far prescrivere le e-cig anche dai medici di base?
“Il Ministero della Salute della Gran Bretagna già nel luglio 2015 ha espresso un parere molto chiaro in tema di sigaretta elettronica. In sintesi ha detto che la e-cig dovrebbe essere proposta a tutti coloro che non vogliono smettere di fumare ed anche a coloro che non sono riusciti a smettere di fumare e definisce la tossicità della sigaretta elettronica del 95% inferiore a quella della sigaretta normale. Stigmatizza anche il fatto che questo dato contraddice l’opinione diffusa tra il pubblico relativamente alla pericolosità del fumo elettronico. La proposta di farla prescrivere dai medici passa attraverso il riconoscimento di un medical device ma la questione è che al fumatore non piace avere la percezione di essere malato e quindi anche solo una semplice proposta di uso medicale potrebbe esser ancora più efficace perché ancor più facilmente ricevibile. La questione di una proposta di salute è sempre legata proprio alla sua ricevibilità e questo è un punto sul quale non sempre vi è sensibilità. Vorrei anche dire che l’uso della sigaretta elettronica appartiene all’ambito della riduzione del rischio e non della cessazione ed anche su questo punto occorre che le proposte siano effettuate con chiarezza per non ingenerare dubbi o peggio sospetti. Infine non è più accettabile parlare di sigaretta elettronica in generale. La produzione è caratterizzata da una tale quantità di offerta e differenze anche strutturali che metter tutti prodotti assieme per un qualsiasi ragionamento speculativo o di uso medicale non appare più accettabile per mancanza del requisito di omogeneità”.
- E’ ormai noto che in Italia i fondi destinati alla ricerca per il trattamento della dipendenza tabagica sono quasi inesistenti se non del tutto. Ciononostante, i fondi per le campagne di sensibilizzazione (che peraltro risultano essere anche poco efficaci) pare non manchino mai. Lei cosa ne pensa? Perché secondo lei questa mancanza di attenzione nei confronti del tabagismo?
“A dispetto dei pochi soldi che lo stato italiano investe in ricerca, proprio gli scienziati italiani pubblicano lavori di grande impatto internazionale e questo avviene in una certa misura anche per il settore del tabagismo. Investire in campagne di sensibilizzazione produce visibilità per chi lo fa e questa visibilità, se gestita istituzionalmente, può essere sfruttata anche in maniera positiva per erogare azioni di servizio o di coordinamento. Nel settore del tabagismo è stato fatto molto a tutela dei non fumatori seppure con evidenti lacune. Penso ad esempio che in un ospedale e, più in generale in un ambiente sanitario, non si dovrebbe fumare da nessuna parte e non solo nelle aree di interesse pediatrico. I pericoli del fumo di tabacco sono talmente grandi ed evidenti a tutti che queste ambiguità non appaiono comprensibili. Nulla invece è stato fatto per la parte debole, cioè per chi fuma e questo è incomprensibile per chi come medico è naturalmente predisposto ad una azione di aiuto. I fumatori appaiono messi all’angolo, costretti tra leggi e divieti senza che ad essi venga offerta una possibilità di aiuto ricevibile. La non rimborsabilità dei farmaci antifumo, la totale mancanza di sostegno agli stessi centri antifumo che pure sono presenti e diffusi sul territorio nazionale appaiono lacune da colmare, magari reinvestendo almeno una parte dei soldi delle accise in azioni mirate a sostegno dei fumatori che desiderano smettere. Ricordo che almeno il 65% dei fumatori prova a smettere in solitudine e fallisce: perché non aiutare questa gente che produce 80 mila morti all’anno secondo le stime ufficialmente riportate?.
- Che ruolo hanno avuto nella battaglia contro le bionde i Centri Antifumo italiani? E quale sarà il possibile risvolto per il futuro?
“I centri antifumo italiani attualmente hanno il sostegno dell’Istituto Superore di Sanità che sta svolgendo da anni un forte e prezioso ruolo di coordinamento e di stimolo ma questo non basta ancora: meno di 18 mila fumatori pervengono attualmente nei centri antifumo italiani su un totale di circa 11 milioni di persone che fumano. Sono percentuali risibili che non potranno mai incidere significativamente sui numeri della mortalità da tabagismo. Bisogna proprio disegnare una politica di aiuto ai fumatori e la sigaretta elettronica in alcune sue formulazioni potrebbe anche diventare un’ arma estremamente potente per l’aggancio di chi è in difficoltà a smettere. Purtroppo anche la classe medica dovrebbe passare ad una azione maggiormente propositiva. Penso che sia stato un errore mettersi di principio “contro” senza prima aver cercato di capire. Attualmente il vento è cambiato e vedo che tra i medici c’è interesse seppure con la dovuta prudenza”.
- Per concludere, da qui a 10 anni secondo lei quali saranno i possibili risvolti nel mondo delle e-cig? Ci sarà di nuovo un boom delle elettroniche o no?
“Quello che sta avvenendo in Gran Bretagna è sintomatico, di recente è comparsa la notizia che il fatturato della e-cig in quel paese ha superato quello di tutti i farmaci antifumo. Indubbiamente il fumatore dovendo scegliere tra pastiglie, cerotti ed un modo diverso di fumare sceglie quest’ultimo. Con l’elettronica l’automedicazione è possibile, semplice e soprattutto è lo stesso fumatore che decide le situazioni in cui “gli serve” fumare elettronico per compensare. Un nuovo boom potrebbe verificarsi ma va chiarito che “traslare” o “switchare” ad elettronica vuol dire comunque effettuare un cambiamento dietro al quale c’è una dipendenza. Bisogna fare in modo che il fumatore accetti il cambiamento e sia supportato su questo aspetto. Non basta il semplice seppur approfondito sostegno tecnico legato all’uso ed all’efficienza del device. Se la sigaretta elettronica è sicura e semplice da usare si facilita la curva di apprendimento all’uso ma non necessariamente si stabilizza l’uso nel tempo. Su questo aspetto a Torino abbiamo messo a punto una metodologia molto precisa e ripetibile protetta da un marchio europeo MB e questa si è rivelata decisiva ed efficace nel sostegno al passaggio da sigaretta a sigaretta elettronica stabilizzandone l’uso nel tempo. Se opportunamente aiutata, oltre la metà dei fumatori non interessati a smettere di fumare passa stabilmente e con soddisfazione alla sigaretta elettronica. A mio avviso ci sono le premesse per una ripartenza della sigaretta elettronica nella misura in cui verranno recuperati e realizzati fino in fondo i concetti che sono alla base dell’invenzione originale di Hon Lik, cioè di un aiuto ai fumatori in difficoltà”.
Valeria Nicolosi è giornalista, esperta in progettazione e comunicazione pubblica (sociale e istituzionale). Laureata in Programmazione delle Politiche Pubbliche nell’Università degli Studi di Catania, è anche masterizzata in Comunicazione Pubblica nell’Università IULM di Milano. L'amore e l'interesse nei confronti della formazione dell'opinione pubblica l’hanno portata a collaborare come consulente per LIAF con l’obiettivo di aiutarli a definire azioni utili per la diffusione e la sensibilizzazione della cultura antifumo. Valeria è oggi press office di LIAF e collabora anche con istituzioni ed enti pubblici diversi.
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