Le sigarette elettroniche non sono innocue Sono tossiche, anche se meno di quelle tradizionali E creano dipendenza. Soprattutto tra i giovani Si porta alla bocca, si inala e si espira. Il gesto è simile, eppure diverso. Tanto da meritare un neologismo: la sigaretta elettronica infatti non si fuma, ma piuttosto si “svapa”. Un termine che che vuole sottolineare le differenze, specie in termini di rischi, con le sigarette tradizionali: si tratta di vapore dopo tutto, prevalentemente glicerina e glicole propilene, presente in molti farmaci e in diversi tipi di amari. Occhio però: le ultime ricerche suggeriscono che potrebbe non essere sempre e del tutto innocuo. Una delle più recenti arriva dall’università di Birmingham, e indica che il liquido delle e- cig, specie quando viene riscaldato per essere trasformato in vapore, ha un effetto tossico sui macrofagi alveolari, cellule del sistema immunitario presenti all’interno dei polmoni. «Svapando si aumenta la tossicità dei condensati che raggiungono i polmoni», spiega David Thickett, professore di Medicina respiratoria dell’università di Birmingham e coordinatore della ricerca pubblicata sulla rivista Thorax.
Il fatto comunque è che le sigarette elettroniche sono comunque meno dannose di quelle tradizionali, perché hanno al loro interno migliaia di sostanze chimiche in meno, tra cui decine di noti cancerogeni. Quello che bisogna capire piuttosto è quanti e quali siano i rischi legati a questa nuova forma di dipendenza. «Quello che ci preoccupa è che le aziende che producono e- cig iniziano ad essere acquisite dai grandi produttori di tabacco – sottolinea Thicket – e che in futuro questa possa rivelarsi una strategia per normalizzare la dipendenza da nicotina, in un periodo in cui la diffusione del tabagismo è finalmente in calo». Anche se parlando di tumori il rischio non è paragonabile, non vuol dire necessariamente che sia assente. A raccontarcelo è Silvia Balbo, ricercatrice italiana trapiantata in America, che durante l’ultimo congresso dell’American Chemical Society ha presentato una serie di dati che parlano della possibile cancerogenicità delle e- cig. Insieme ai colleghi del Masonic Cancer Center dell’università del Minnesota, Balbo ha analizzato i composti presenti nella saliva degli “svapatori” prima e dopo una fumata, individuando livelli fino a 60 volte maggiori di tre sostanze potenzialmente pericolose: formaldeide, acroleina e metilgliossale. E ha quindi cercato nella saliva indizi di un possibile danno al Dna, specchio di mutazioni che possono indurre lo sviluppo di un tumore.
«Le nostre analisi hanno rivelato che i soggetti che utilizzano sigarette elettroniche hanno livelli più alti di modificazioni del Dna legati all’azione dell’acroleina, rispetto ai non- fumatori o a chi non utilizza sigarette elettroniche – spiega la ricercatrice – e questo indica che l’uso di sigarette elettroniche può esporre a sostanze genotossiche, e produrre un danno misurabile». Per parlare di rischi, o fare paragoni, è presto – ammette Balbo – anche perché i risultati dello studio sono ancora preliminari. Ma i tasselli emersi negli ultimi anni sono tanti, e il puzzle che compongono, per quanto incompleto, sembra ormai piuttosto chiaro: pensare alle sigarette elettroniche come un’alternativa priva di rischi è un errore grave. Eppure fin troppo comune. L’American Cancer Society lamenta ad esempio una scarsa percezione del rischio negli Stati Uniti, e un aumento del consumo tra gli adolescenti. Già nel 2016 lo Us Surgeon General aveva diramato infatti una ” call to action” per difendere i più giovani dalle sigarette elettroniche, sottolineando che l’utilizzo tra gli adolescenti è aumentato di quasi nove volte tra il 2011 e il 2015. Lo stesso accade in Italia: nonostante i divieti, circa il 4% dei fumatori italiani tra i 14 e i 17 anni ammette infatti di fare uso anche delle e-cig.
«Se parliamo di innocuità, i dati che abbiamo a disposizione ci dicono che le sigarette elettroniche non lo sono – commenta Roberto Boffi, responsabile del centro antifumo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano – abbiamo svolto diversi studi a riguardo, e quello che posso dire con certezza è che emettono polveri sottili, anche se in quantità 20 volte inferiore alle sigarette tradizionali; la svapata espone il consumatore a metalli pesanti come il nichel, cromo, argento e titanio, a volte in quantità superiore a quella contenuta nei prodotti contenenti tabacco, e persino a sostanze pericolose come la formaldeide, un noto cancerogeno » . Questo non vuol dire che siano paragonabili alle sigarette – ammette l’esperto – ma di certo servono ancora studi di lunga durata per poter dare una risposta definitiva sui possibili effetti nocivi. «In questi casi il senso comune non basta – assicura Boffi – quando sono state introdotte sul mercato le sigarette light si diceva che facessero meno male di quelle normali, e oggi sappiamo invece che provocano tumori e disturbi respiratori al pari di quelle non light». (Vedi nuova risposta di Polosa)
Contro il cancro però è utile
Si chiama “riduzione del danno”. Le e-cig diminuiscono il rischio di mortalità prematura P er alcuni esperti l’alternativa è una sola: smettere di fumare. Altri hanno un approccio più laico, e accettano l’idea che per i tabagisti impenitenti anche scegliere il male minore, come una sigaretta elettronica, può fare la differenza. Viene definita riduzione del danno, e se chiedete agli inglesi non hanno dubbi: secondo Public Health England, l’agenzia inglese per la salute pubblica e la lotta alle dipendenze, in Gran Bretagna tra le 18mila e le 50mila persone smettono di fumare ogni anno con l’aiuto delle e-cig. E la Commissione scienza e tecnologia della House of Commons ha pubblicato di recente un rapporto in cui afferma che, seppur non prive di rischio, le e-cig offrono ai tabagisti l’opportunità concreta di ridurre sostanzialmente il rischio di morte prematura e disabilità. I dati italiani, purtroppo, raccontano una storia diversa: stando al rapporto nazionale sul fumo, realizzato da Doxa e Istituto superiore di sanità, nel 2017 poco più del 14% di chi ha provato ad abbandonare le bionde con la sigaretta elettronica è riuscito nell’intento. Risultati che riflettono differenti scelte di politica sanitaria, almeno secondo Riccardo Polosa, direttore del Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo dell’università di Catania: «Il Regno Unito ha dato dimostrazione di lungimiranza e coerenza ponendo il vapagismo al centro delle proprie politiche antifumo – spiega – da loro la prevalenza del tabagismo si è ridotta del 15% in soli tre anni, analogamente a quanto osservato in tutti quei paesi, come Svezia, Norvegia, Islanda e Francia, che hanno deciso di promuovere la sostituzione della nicotina con alternative a basso rischio » . Corretta informazione e una minore tassazione, che non equipari le e-cig ai prodotti contenenti tabacco, secondo Polosa sarebbero la chiave per ottenere risultati simili anche nel nostro paese. Perché, a detta dell’esperto, l’Italia starebbe perdendo l’occasione per una vera e propria rivoluzione. Per quale motivo? Promuovere l’utilizzo di un dispositivo non privo di rischi per la salute, specie in mancanza di dati affidabili, può in effetti sembrare una scelta contraria alla deontologia medica. Eppure la risk reduction è accettata nel contrasto alla dipendenza dalla droga, e persino nella scelta delle terapie chirurgiche, mentre, obietta Fabio Beatrice, direttore del Centro antifumo dell’ospedale S. G. Bosco di Torino: « Per il tabagismo continuiamo a perseguire l’obbiettivo della cessazione » . È vero dunque che con le e- cig non si risolve il problema della dipendenza, ma lo si sposta semplicemente verso un prodotto meno nocivo. Ma a fronte di quasi 80mila morti l’anno causati dalle sigarette, per Beatrice potrebbe essere arrivato il momento di un cambio di strategia: «Dobbiamo riuscire a raggiungere i fumatori con una proposta ricevibile, perché attualmente solo lo 0,1% chiede aiuto ai centri antifumo. E la sigaretta elettronica potrebbe essere un buon mezzo per tenere il fumatore legato al suo medico».