“Che il fumo svolga o meno una funzione protettiva nei confronti dell’infezione, ancora non si sa con certezza e la comunità scientifica non ha ancora preso una posizione univoca. Ma se dovessimo procedere per ipotesi sulla base dei dati che oggi abbiamo a disposizione, sicuramente possiamo affermare che non è probabile che il vaping aumenti il rischio di infezione” – così stamane il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR Centro di Ricerca Internazionale per la Riduzione del Danno da Fumo, ha introdotto l’edizione 2020 del Forum Globale sulla Nicotina che ogni anno si svolge a Varsavia ma che, in ottemperanza alle restrizioni previste dal Covid, per la prima volta si è tenuto online e sarà disponibile sulla piattaforma youtube anche nei prossimi giorni.
L’evento, iniziato oggi, si concluderà domani e prevede gli interventi di un panel scientifico di elevato prestigio internazionale. Tra loro: Gerry Stimson, David Sweanor, Clive Bates, Marewa Glover, Louise Ross e Konstantinos Farsalinos, e molti altri.
In questi mesi si è parlato molto dello stato di salute di fumatori, ex fumatori e vapers e sulle correlazioni esistenti tra fumo e Covid19. Ma è proprio su questo tema e sulla qualità degli studi scientifici condotti in questi ultimi mesi che il prof. Riccardo Polosa ha concentrato il suo intervento di oggi.
“L’approccio di questi mesi ha tenuto conto della difficoltà di ottenere molto spesso dati certi e verificati. Diversi sono gli studi analizzati ma, nello specifico, secondo uno studio francese condotto su un campione di alunni, insegnanti e genitori di un liceo nel nord della Francia, i fumatori hanno probabilità minori di contrarre il COVID-19 o sviluppare forme gravi. Dati simili provengo da uno studio trasversale inglese condotto su un campione di 3802 individui, dei quali 587 risultati positivi al tampone per il COVID19. Paragonando i dati dei risultati positivi con i record elettronici sanitari, i risultati ottenuti sono simili a quelli francesi. Ancora più interessanti – ha aggiunto lo scienziato catanese – sono i dati che provengono da uno studio condotto in Israele, dove l’approccio è notoriamente anti tabagismo e anti vaping. Su 114.545 individui, il 4% è risultato positivo al COVID-19, ovvero 4537 individui. Analizzando i dati medici, i fumatori risultano meno suscettibili all’infezione di circa il 45% rispetto ai non fumatori e il 20% rispetto agli ex-fumatori”.
La necessità e l’urgenza di trovare risposte scientifiche alla pandemia che ha bloccato il mondo intero ha purtroppo, secondo il professore, accelerato il lavoro scientifico ma ha perso di vista il punto più importante: la qualità degli studi.
“Mi rendo conto – ha detto Polosa – che la difficoltà dei ricercatori e degli scienziati è notevole, spaziando dalla mancanza di un numero di studi condotto su un campione abbastanza grande di popolazione sino alla impossibilità di reperire tutti i dati clinici e medici. In soli sei mesi, le riviste scientifiche hanno gestito un numero di pubblicazioni scientifiche sul COVD-19 pari al triplo delle pubblicazioni sulla sigaretta elettronica rese pubbliche in 10 anni. Questo non è sempre sinonimo di qualità. Rispettare gli standard internazionali previsti per lo studio degli strumenti a rischio ridotto invece deve essere una priorità”