Come molti di voi già avranno letto, la scorsa settimana, la Food and Drug Administration, l’agenzia governativa statunitense che si occupa della sicurezza dei farmaci, ha lanciato un ultimatum a cinque delle maggiori aziende produttrici di sigarette elettroniche. “Se non adotteranno misure urgenti per bloccare la vendita di questi prodotti ai giovani – hanno avvertito – interverranno per bloccarne la commercializzazione. Il rischio è – affermano – quello di una epidemia dilagante tra i giovani”.
In America, infatti, la vendita delle JUUL (una particolare sigaretta elettronica molto simile ad una chiavetta USB) ha avuto una vendita incredibile negli ultimi mesi, tale da impattare in modo pesante sui dai relativi alla diffusione del tabagismo in quel paese, facendo abbassare clamorosamente gli indici di vendita delle sigarette convenzionali. Soprattutto trai giovani.
Proprio due giorni fa, la stessa azienda che commercializza JUUL ha diffuso un comunicato – rispondendo all’FDA – che chiarisce con fermezza la sua posizione nei confronti dell’ultimatum: “Stiamo lavorando ed investendo per combattere il secolare problema dell’uso illegale di sigarette elettroniche tra i giovani. Abbiamo stanziato 30 milioni di dollari di investimenti dedicati alla ricerca indipendente e per una informazione più corretta e responsabile mirata non solo ai giovani ma anche ai genitori”.
E continuano elencando una serie di azioni già in atto, tra cui: “un codice di marketing rigoroso, più sorveglianza tra i venditori, monitoraggio dei social media con relativa rimozione dei contenuti inappropriati, gestione di una linea dedicata alla prevenzione dell’uso di ecig tra i minori e sviluppi di materiale educativo”.
L’attenzione sollevata dalla stessa azienda e da tutto il mondo accademico – che in queste ore ha commentato la notizia dell’avvertimento di FDA – resta comunque alta su un punto centrale della questione che non è davvero stato affrontato: svapare una sigaretta elettronica e fumare una sigaretta convenzionale sono due abitudini completamente diverse e con conseguenza nettamente opposte. La prima è – come dice Riccardo Polosa – quasi a “Zero Rischi”, la seconda ha conseguenze mortali. Questo, peraltro, è lo stesso concetto più volte da noi diffuso e dimostrato dalle numerose evidenze scientifiche portate a termine da gruppi di ricerca internazionali.
Il prof. Polosa, direttore del CoEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione dei Danni da Fumo intervenendo sulla questione ha spiegato: “Lo svapo nel tempo cambierà le sorti del fumo, invertendo completamente la rotta verso l’utilizzo di prodotti ad alto rischio ridotto. La riduzione del danno non è più solo un concetto o un ipotesi – ha aggiunto – è un vero e proprio percorso, sanitario e governativo, che molti Paesi hanno già intrapreso con risultati epocali. Cercare di evitare la diffusione dello strumento tra i minori è giusto e azioni condivise dalle industrie del settore, regolamentate come standard di responsabilità sociale, potranno di certo limitare l’avanzare di quella che secondo il comunicato di FDA sarebbe simile ad un epidemia. Certo resta che la diffusione dello svapo aiuterà milioni di fumatori a ridurre i danni da fumo”.
E resta doveroso sottolineare anche che i dati FDA non includono i numeri relativi alla frequenza di utilizzo o alle abitudini di juule (come lo si definisce in gergo americano) e non dimostrano la prevalenza del consumo di sigarette convenzionali rispetto alle e-cig. Quindi, paragonata alle abitudini da fumo dei giovani, non è possibile ne affermare che si tratta di un epidemia, ne testimoniare quanti di questi giovani di fatto siano passati dal fumo allo svapo, migliorando quindi le loro aspettative di vita.
A tal proposito, anche il New York Times, con un articolo firmato da David Leonhardt, ha scritto: “Se ogni fumatore adulto di sigarette convenzionali passasse a quelle elettroniche, i benefici per la salute pubblica sarebbero enormi poiché le elettroniche sono molto meno dannose”. Ciononostante, il giornalista americano ha ricordato che se il governo non tenta di limitare la diffusione di questi strumenti tra i giovani ci si potrebbe trovare tra 10 anni con una popolazione enorme di svapatori. Ma come si fa a scegliere per il futuro senza dei giovani senza invogliarli a votare sulle proprie scelte? Questa è domanda che il giornalista si è posto in sintesi, con una parabola politica, che ha messo insieme la vicenda FDA e JUUL ed il ritorno in campo di Barack Obama che attacca Donald Trump. E sottolineando che, è stato proprio Obama a dimenticare che quattro anni fa solo una persona su sei tra i 18 ei 29 anni ha votato, nonostante l’invito da parte di tutti. Questo probabilmente perché i giovani sono ormai disillusi nei confronti di qualsiasi voto o elezione.
Per quanto riguarda la situazione italiana, seppur di forte impatto mediatico, la notizia del comunicato di FDA in realtà non dovrebbe trovare riscontro in Italia o in altre Paesi dove le JUUL non sono di fatto commercializzate.
In queste ore abbiamo letto ed ascoltato concetti ed affermazioni “falsate” in merito alla questione svapo e fumo. Giornali, Tv e Radio (tra queste citiamo anche la nota trasmissione radiofonica RadioDeeJay) hanno diffuso messaggi fuorvianti.
E’ importante rimarcare che: “Svapare non è fumare”. E lo sanno bene anche Fedez e Jay Ax.
Innanzitutto, perché la nicotina non è di fatto la vera causa della comparsa delle malattie fumo-correlate. “Non si muore per la nicotina – ha sempre spiegato Polosa – bensì per il cocktail di sostanze tossiche liberate dal processo di combustione del tabacco”.
Secondariamente, perché è noto che le sigarette elettroniche sono per il 95% meno dannose rispetto alle sigarette convenzionali e possono essere utilizzate anche per far smettere di fumare pazienti affetti da malattie cardiorespiratorie come affermato nel dossier della massima autorità di sanità pubblica inglese – Public Health England.
Valeria Nicolosi è giornalista, esperta in progettazione e comunicazione pubblica (sociale e istituzionale). Laureata in Programmazione delle Politiche Pubbliche nell’Università degli Studi di Catania, è anche masterizzata in Comunicazione Pubblica nell’Università IULM di Milano. L'amore e l'interesse nei confronti della formazione dell'opinione pubblica l’hanno portata a collaborare come consulente per LIAF con l’obiettivo di aiutarli a definire azioni utili per la diffusione e la sensibilizzazione della cultura antifumo. Valeria è oggi press office di LIAF e collabora anche con istituzioni ed enti pubblici diversi.