venerdì, Gennaio 10, 2025
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Anafe: evitata la catastrofe ma il settore resta colpito

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La rimodulazione della tassa sui prodotti liquidi da inalazione, dal 1° aprile al 31 dicembre 2022, approvata con un emendamento al DL Milleproroghe, soddisfa solo in parte ANAFE, l’Associazione Italiana Produttori Fumo Elettronico aderente a Confindustria. Il decreto, infatti, pur disinnescando per soli 9 mesi gli aumenti entrati in vigore dal 1° gennaio 2022 (+ 200% sui liquidi senza nicotina e +100% sui liquidi con nicotina), dispone comunque un raddoppio del carico fiscale rispetto al 2021. Le accise infatti aumenteranno in ogni caso del +100% sui liquidi senza nicotina e del +50% sui liquidi con nicotina. Il tutto mentre le sigarette tradizionali, la principale causa di morte al mondo, restano ancora una volta esenti da qualsiasi rincaro.

“Come fa un’Associazione di imprese a esprimere soddisfazione rispetto a un raddoppio delle tasse sui propri prodotti? Senz’altro sentiamo il dovere di ringraziare il Senatore Matteo Salvini, il Sottosegretario Federico Freni e l’On. Massimo Bitonci, per aver capito la gravità della situazione: un aumento del 200% della tassazione è in grado di distruggere qualunque filiera. Forse l’intenzione di alcuni è proprio questa. Sicuramente abbiamo evitato una catastrofe, ma restiamo sconfortati e perplessi da vari elementi. In primis, dal fatto che i prodotti liquidi da inalazione – cioè prodotti innovativi a rischio ridotto che ormai anche l’Unione europea ha riconosciuto come validi strumenti per smettere di fumare – siano ancora puniti dalle scelte di politica fiscale di questo Paese che, in questo modo, potrebbe indurre 1.5 milioni di utilizzatori di e-cig a preferire le sigarette tradizionali, prodotti che al contrario sono senza alcun dubbio dannosi per la salute”. Ha dichiarato Umberto Roccatti, il Presidente di ANAFE Confindustria.

“L’altro elemento che desta preoccupazione” – ha proseguito Roccatti – “è l’impianto normativo generale: tra dieci mesi infatti, senza un ulteriore intervento del legislatore, scatteranno nuovi aumenti per il settore che raddoppieranno ulteriormente il carico fiscale (circa +100%). Tale contesto obbliga tutti gli operatori e l’intera filiera – composta da oltre 45.000 persone –a vivere nella più completa incertezza, senza aver modo di poter pianificare attività e investimenti”.

“In tutto questo contesto, continuiamo a leggere sui vari giornali notizie completamente errate sull’entità degli aumenti fiscali, che sarebbero solo del 5%. Ebbene, non tutti hanno ancora capito che questa percentuale rappresenta l’aumento dell’aliquota, che – nonostante l’emendamento di rimodulazione – passa dal 10% al 15% sui prodotti con nicotina (ovvero un aumento in termini assoluti di tassazione del +50%) e sui prodotti senza nicotina – cosa ancor più assurda – passa dall’aliquota del 5% al 10% (ovvero un aumento in termini di tassazione del +100%). C’è una differenza colossale!”. “Infine – ha concluso Roccatti – siamo stanchi di essere utilizzati dalle multinazionali del tabacco come veicolo per portare avanti i loro obiettivi commerciali, cosa accaduta anche in quest’ultimo provvedimento in cui nottetempo sono spuntate in coda all’emendamento sulle sigarette elettroniche norme che nulla avevano a che vedere con il nostro settore”.

Occhio non vede cuore non duole: la vista nella smoking cessation

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vista fumo cinque sensi

Tutti i sensi vengono compromessi dall’abitudine al fumo: molte volte però non è semplicemente un danno fisiologico ad interessarci, ma quanto le interazioni tra abitudini e comportamenti ritualistici che possono inficiare i tentativi di smettere di fumare, come nel caso della vista, dove l’imitazione gioca un ruolo fondamentale.

“La società è organizzata non tanto dalla legge quanto dalla tendenza all’imitazione”: Carl Jung credeva che la capacità dell’uomo di imitare fosse fondamentale per l’organizzazione sociale e la collettività.

Difficile poi traslare l’immagine che si otteneva per imitazione verso una consapevolezza ulteriore di se stessi, improntata alla definizione di una propria individualità.

La ricerca di una propria sfera di azione implica un percorso di anni, di accettazione, di errori e di studio. Ma l’imitazione, l’insieme di conoscenze che assorbiamo quasi istintivamente grazie al nostro rapporto con gli altri, quanto è importante per adottare stili di vita più o meno sani?

Imitare significa apprendere un modello comportamentale, attraverso cui comprendiamo il come e il perchè. Un comportamento alla base di una cultura complessa, di un’organizzazione sociale strutturata e variegata.

L’imitazione parte sin dai primi mesi di vita: quante volte crediamo che la somiglianza di comportamento sia meramente espressione genetica, quando invece è pura riproduzione della mimica facciale o dell’interazione con l’ambiente circostante.

Stessa cosa quando si cresce: in una classe, il bambino regolerà i propri comportamenti sulla base di quello degli altri. Sarà poi il rafforzamento positivo o negativo da parte dell’insegnate, che determinerà l’acquisizione di quel comportamento come norma di buona o cattiva condotta.

L’IMITAZIONE: VEDERE PER IMPARARE

Organo per eccellenza del processo imitativo sono gli occhi: la vista si sviluppa nel corso dei primi otto mesi di vita, dapprima come capacità di riconoscere luce e buio, diventando in seguito sempre più profonda e dettagliata.

Come per molti altri organi, fumare una sigaretta ha ripercussioni negative in termini di salute.

Secondo diversi studi internazionali, sono numerose le patologie a carico del sistema visivo: molti fumatori incorrono nel triplo delle possibilità di sviluppare in forme gravi di catarratta, con il conseguente rischio di perdere la vista.

Per i soggetti diabetici, il fumo aggrava il decorso patologico, aumentando il rischio di sviluppare forme gravi di retinopatia diabetica.

Ma non esistono solo danni funzionali agli organi: come recita il detto popolare, “lontano dagli occhi lontano dal cuore”.

Spesso vogliamo che i nostri figli, o chi ci sta intorno, non recepiscano le cattive abitudini, vizi inclusi. Eppure, crescere in un ambiente dove il fumo è diffuso significa non solo essere esposti al pericolo del fumo passivo, ma anche a quello di terza mano, ovvero piccole particelle che si depositano sugli oggetti in casa.

Si validano così una serie di comportamenti, come quello di accendersi una sigaretta dopo i pasti o come prima cosa appena svegli, collegati al benessere. Se vedo i miei genitori o chi mi sta vicino che per rilassarsi fuma, assocerò nella mia mente il fumo di una sigaretta al benessere ed al relax.

Una volta nata tale associazione, la facilità di reperire un pacchetto per casa, innescherà la voglia, presto o tardi, di provare a fumare.

Ovvio, non tutti i fumatori sono figli di tabagisti, come non tutti coloro che hano genitori che fumano diventeranno degli habitué del fumo.

Ma le statistiche ci parlano di una realtà precisa: chi cresce in ambienti dove si fuma, avrà più probabilità di iniziare a fumare e, una volta adulto, di continuare a farlo e diventare un fumatore accanito.

Un semplice gesto può innescare una serie di comportamenti dannosi. Abituarci all’idea di essere modelli è il primo passo di un vero cambiamento: sono le nostre abitudini e la validazione delle stesse da parte della società che crea schemi comportamentali dannosi.

IL NOSTRO CONSIGLIO DI LETTURA A TEMA VISTA

Seguendo il filone della rubrica I cinque sensi, il consiglio di lettura della redazione a tema vista è “Le Otto Montagne” di Paolo Cognetti, dove la storia di due uomini impegnati in una sfida contro i propri limiti può ispirare i fumatori che si vogliono impegnare nel dire addio alla sigaretta.

I benefici della montagna per i fumatori

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Sci, passeggiate e buon cibo: un periodo in montagna è da sempre l’emblema delle vacanze invernali. Quali sono i benefici di una settimana bianca per chi fuma?

Il periodo tra febbraio e marzo è il momento giusto per concedersi una settimana bianca o un weekend in montagna, tra divertimento e sport, con la possibilità di concedersi lunghe giornate sugli sci e passeggiare con le ciaspole, lontani dal caos cittadino e a contatto con la natura.

Un ritiro in montagna, seppur breve, comporta dei benefici in termini di salute, soprattutto per i fumatori.

Per chi fuma, le camminate in alta quota a ritmo sostenuto abbassano la pressione sanguigna e migliorano le prestazioni di cuore, polmoni e del sistema circolatorio in generale.

Se poi non si esagera con le abbuffate in baita, l’intensa attività sportiva nel corso di diverse giornate può aiutare a perdere peso, migliorando al contempo il tono muscolare: insieme al colorito roseo delle guance, aumenterà anche la motivazione a smettere.

L’altitudine diminuisce l’ossigeno disponibile e il nostro organismo compensa aumentando i globuli rossi presenti nel sangue, con un alto ritorno energetico.

In montagna l’aria più pulita rappresenta un vero toccasana per i fumatori che, respirando a pieni polmoni, possono ridurre la possibilità di incorrere in malattie respiratorie e allergie, riducendo le probabilità di una cardiopatia ischemica.

La montagna è ideale per rafforzare i tessuti polmonari dando un input in più all’apparato circolatorio, libero dagli effetti del fumo. Anche il trekking immersi nella natura e circondati da panorami pittoreschi, aiuta ad abbassare i livelli di stress e ansia, alcuni tra i fattori che determinano la necessità di accendersi una sigaretta.

In questo contesto spesso i tabagisti rovinano l’atmosfera accendendosi una sigaretta a fine camminata, ottenendo un effetto diametralmente opposto ai benefici ottneuti con l’attività sportiva.

Se volete andare in montagna la parola d’ordine è: NON FUMARE …o perlomeno provateci, intraprendendo un percorso, sicuramente in salita, ma rigenerante per la salute.

Fumi? Gli anticorpi per il vaccino da Covid-19 durano di meno

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covid-19 vaccino annticorpi e fumo
covid-19 vaccino annticorpi e fumo

Una recente revisione della letteratura scientifica da parte del CoEHAR, in collaborazione con l’Università di Pavia e l’Università Statale di Milano, ha evidenziato come i livelli di anticorpi indotti dal vaccino per il Covid-19 siano più bassi nei fumatori, tendendo a diminuire più velocemente nel tempo

La risposta immunitaria è definita come quell’insieme di meccanismi che si instaurano quando un organismo entra in contatto con un agente estraneo. Ormai sappiamo per certo che le nostre scelte quotidiane e il nostro stile di vita influenzano positivamente o negativamente l’efficienza del nostro sistema immunitario e il numero di anticorpi prodotti.

Nello specifico, una delle abitudini peggiori che possiamo adottare e che ha un impatto significativo sulle salute è il fumo, che influenza il meccanismo di regolazione di risposte immunitarie sbagliate o difettose.

Un gruppo di ricercatori del CoEHAR, in collaborazione con le Università di Pavia e della Statale di Milano, ha condotto una revisione scientifica della letteratura a disposizione per meglio comprendere il ruolo del fumo nel regolare la produzione degli anticorpi indotti dal vaccino per il Covid-19.

Nell’analisi effettuata, dal titolo: “The Effect of Smoking on Humoral Response to COVID-19 Vaccines: A Systematic Review of Epidemiological Studies”, sono stati esaminati un totale di 23 articoli, con un campione di soggetti analizzati che varia da 74 a 3475 partecipanti e con una proporzione di fumatori studiati tra il 4,2% e il 40,8%.

In 17 studi dei 23, i soggetti fumatori hanno mostrato un titolo anticorpale più basso o un abbassamento più rapido delle IgG indotte rispetto ai non fumatori. 

Il risultato del team arriva a conferma di un altro dato già diffuso lo scorso gennaio in un precedente studio (denominato VASCO) che ha dimostrato come gli anticorpi indotti dal vaccino anti-Covid-19 diminuiscono più velocemente nei fumatori.  

Sebbene non siano ben noti i meccanismi alla base del dato anticorpale estrapolato dalla complessità della risposta immunitaria ai vaccini contro il COVID-19, questi risultati sembrano confermare l’ennesimo impatto negativo del fumo sulla salute umana e sulle alterazioni della risposta immunitaria ai vaccini, indebolendo le difese dell’organismo contro le conseguenze cliniche delle infezioni” – ha spiegato Pietro Ferrara, medico epidemiologo e ricercatore dell’Università di Pavia.

L’abitudine tabagica – ha aggiunto il fondatore del CoEHAR, Prof. Riccardo Polosa – influenza la proliferazione dei linfociti e delle altre cellule del sistema immunitario, indicando risposte immunitarie difettose. I fumatori rispondono meno ai vaccini e sono dunque più a rischio. Individuare gli elementi che possono influenzare la loro risposta è fondamentale per valutarne efficacia e durata ed eventuali precauzioni terapeutiche. Servono più risposte ma è su questo che stiamo continuando a lavorare”.

I campioni analizzati negli studi sono vari: 16 ricerche sono state sviluppate tra i lavoratori del sistema sanitario, due su un campione generale di popolazione e gli altri su pazienti affetti da specifiche patologie (come cancro, obesità o malattie infiammatorie intestinali).

Le tipologie di vaccino analizzate sono state differenti, ma per la maggior parte, gli studi erano focalizzati sulla risposta immunitaria al vaccino Pfizer.

I campioni di sangue per la misurazione del livello di anticorpi sono stati raccolti in diverse fasi dopo la somministrazione di una o entrambe le dosi di vaccino, da 21 giorni fino a 6 mesi dopo l’iniezione. 

I risultati principali sono stati due: tra i campioni di soggetti fumatori, in ben 17 studi, i risultati hanno mostrato una risposta anticorpale più bassa o un abbassamento più veloce delle immunoglobuline G, le IgG, gli anticorpi specifici prodotti in risposta al vaccino.

Sebbene i risultati non permettano di capire se ad influenzare la risposta immunitaria al vaccino sia lo status di fumatori o il numero di sigarette fumate giornalmente, e sebbene le abitudini individuali e le tipologie di cellule studiate influenzino i risultati, i ricercatori hanno riscontrato un impatto negativo del fumo sul numero di anticorpi prodotti dal vaccino.

A conclusione, secondo il Prof. Riccardo Polosa: “La comprovata minor efficacia dei vaccini sui fumatori riporta all’attenzione mondiale il tema della lotta al fumo di sigarette convenzionali, una pessima abitudine che mette a rischio la vita di milioni di persone. I dati dimostrano che la pandemia ha aumentato, seppur sensibilmente, il numero di fumatori in tutto il mondo. Occorre una risposta immediata sia in campo scientifico, sia in ambito politico perché è solo garantendo facile accesso a percorsi di cessazione che comprendano anche l’utilizzo di strumenti a rischio ridotto per chi non riesce a smettere da solo, che possiamo davvero aiutare i fumatori a smettere”.

Quanto costa fumare?

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Che le sigarette facciano male alla salute è cosa risaputa ma quanto fanno male esattamente al portafoglio?

Secondo un recente sondaggio, il 55% dei fumatori non sa effettivamente quanto potrebbe risparmiare se smettesse di fumare. Un dettaglio, quello economico, che spesso viene sottovalutato ma che a conti fatti riserva un notevole risparmio specie se in famiglia ci sono più persone con questa cattiva abitudine.

Si calcola che acquistando un pacchetto al giorno, in un anno un fumatore spende circa 2000 euro (in base alla marca delle sigarette). Se invece in una settimana si consumano 2 pacchetti di sigarette, la spesa annuale è di circa 576 euro mentre 4 pacchetti a settimana, circa 10 sigarette al giorno, corrispondono ad una spesa mensile di circa 96 euro, e annuale di quasi 1200 euro.  

Insomma, smettendo di fumare ci si paga più di metà di un affitto medio. Si può un bel viaggio all’anno, si possono scegliere due bellissime borse costose, si possono pagare serenamente le bollette … e potremmo continuare ancora per molto.

Ricordiamo infatti che proprio LIAF insieme a Skyscanner nel 2016 ha pubblicato una ricerca che dimostra come dopo solo un mese senza fumare si risparmia l’equivalente di un volo in Ungheria o a Malta, e con due mesi ci si può andare in Grecia, Spagna, Regno Unito e moltissime altre destinazioni europee. Ma con un anno di risparmi da fumo, si può volare in Thailandia!

Ci siamo chiesti anche: ma quanto costa in media svapare in Italia?

Per iniziare è sufficiente una spesa di 50 euro, un kit e-cig base ha dei costi che si aggirano tra 33 e 84 euro a seconda del modello e per i liquidi il prezzo sfiora i 6 euro con la durata della ricarica di circa una settimana.

Il costo al mese per svapare è mediamente di 40 euro, ovvero meno di 500 euro l’anno. Sostituendo scomposti ed aromi ai liquidi pronti si ottiene questo conteggio: scomposti 36 euro al mese ovvero 431 € all’anno. Aromi concentrati 21,6 € al mese ovvero 259 € all’anno.

In conclusione, passare a prodotti meno dannosi, riduce il danno in innumerevoli modi.

Il giorno cruciale delle ecig: attesa per il report BECA

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Il prossimo 15 febbraio, a Bruxelles, la commissione BECA presenterà il report contenente le direttive per il piano europeo di lotta al cancro. Il fronte del vaping europeo trattiene il fiato, in attesa di scoprire la posizione ufficiale sul fumo elettronico in materia di tassazione e produzione

Lo stigma che circonda le sigarette elettroniche sembra essere incredibilmente radicato all’interno delle scelte sanitarie comunitari, anche quelle non direttamente correlate alle politiche antifumo, come nel caso del Beating Cancer Plan, un insieme di direttive comunitarie da sviluppare per combattere una delle patologie più aggressive dei nostri tempi, il cancro.

La Commissione speciale denominata BECA ha lavorato sulle linee guida per arginare una malattia che nel corso del 2022 si prevede causerà la morte di circa 1 milione e 300 mila europei: per farlo, si stanzieranno circa 4 miliardi di euro da destinare a prevenzione, trattamento e cura.

Proprio riguardo la prevenzione, l’idea è intervenire su quei comportamenti e su quelle abitudini, alimentari e di salute in generale, che concorrono nello sviluppo di diverse forme di cancro, in primis il fumo, con l’obiettivo di raggiungere la percentuale del 5% di consumatori di tabacco entro il 2040.

In una bozza presentata a nel corso degli ultimi mesi del 2021, il fumo di sigaretta è stato equiparato al vaping e all’utilizzo di prodotti a rischio ridotto, alimentando il coacervo di fraintendimenti che regna nel settore del consumo di tabacco.

E proprio questa errata concezione aveva sollevato le critiche degli esperti di harm reduction che sostenevano la necessità di regolamentare non l’uso del tabacco in generale, quanto insistere sul danno causato dal fumo combusto a differenza di quello elettronico. La commissione ha dovuto così ammettere la necessità di valutare attentamente le sigarette elettroniche alla luce delle ricerche ne dimostrano la relativa sicurezza rispetto al fumo di sigarette.

Un chiaro tentativo di non riconoscere formalmente le sigarette elettroniche e i dispositivi elettronici a rilascio di nicotina, nonché le altre forme di consumo del tabacco alternative al fumo, come strumenti utili nella lotta al tabagismo.

Le direttive contenute nel documento saranno necessarie per sviluppare ulteriori aggiornamenti all’interno di due documenti principali, la TPD (Tobacco Products Directive), incentrata sulla vendita dei prodotti legati al tabacco, e la TED ( Tobacco Excise Directive), relativa alla tassazione dei prodotti da fumo.

Relativamente al dato produttivo, il settore alternativo al fumo combusto è stato oggetto di una crescita costante nell’ultimo decennio, complice l’innovazione tecnologica e la ricerca scientifica. Una limitazione dei meccanismi produttivi comporterebbe non solo la contrazione del mercato, ma, come dimostrato da precedenti storici, alimenterebbe i canali sottobanco illegali, con conseguenti ripercussioni in termini di salute.

Se da un lato la prevenzione e le politiche di cessazione debbano essere mantenute come cardine dell’azione della lotta alla piaga del fumo, di fronte a percentuali stabili di fumatori negli ultimi decenni, ci si dovrebbe interrogare quali possano essere le strade da battere per combattere lo zoccolo duro di tabagisti che non riescono a smettere per conto proprio o grazie ai metodi tradizionali.

Il lato più amaro della situazione è il trattamento riservato agli svapatori e a coloro che con fatica cercano di smettere di fumare” ha dichiarato il Prof. Riccardo Polosa, Fondatore del CoEHAR “Essere trattati come cittadini di serie B crea disinformazione e disillusione, a fronte di una montagna di evidenze scientifiche che puntano in tutt’altra direzione. Non solo, ma subito al di la del canale della Manica, non così distante da Bruxelles, l’esempio inglese ci potrebbe insegnare molto sul fumo elettronico e sulla cessazione e invece preferiamo rimanere nella sicurezza delle politiche fallimentari degli ultimi dieci anni“.

Giornata Internazionale delle Donne nella Scienza: le esperte di Harm Reduction

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L’11 febbraio si celebra la Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, per ricordarci che la parità di genere nel campo scientifico è ancora lontana da essere raggiunta.

Nonostante la parità di genere sia uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030 per l’agenda ONU, donne e ragazze continuano ad essere escluse dalla partecipazione a pieno titolo nelle materie scientifiche.

Secondo un report pubblicato lo scorso anno da ELSEVIER, l’Italia vede una partecipazione femminile nei campi scientifici al di sopra della media UE, con percentuali di impiego che si avvicinano al 40%. Se guardiamo però il quadro generale, le donne che possono proseguire la loro carriera all’interno di laboratori e centri di ricerca afferenti alle diverse materie scientifiche sono pari al 30%.

Secondo studi inglesi, il gap uomo-donna in in merito allo studio delle materie scientifiche si manifesta intorno ai 6 anni: un limite piuttosto basso se si considera che a quell’età la maggior parte dei bambini affronta principalmente le nozioni base di qualsiasi materia.

Pregiudizi di genere, l’ambiente circostante e il contesto culturale determinano pesantemente le decisioni future di studio di gran parte delle bambine, spesso cresciute nell’ottica che le materie scientifiche siano meno alla loro portata.

Sebbene i dati confermino una diminuizione del trend, le donne ricercatrici devono poi fronteggiare le differenze di trattamento sul luogo di lavoro, dove contratti sottopagati e lo spauracchio di ritorsioni in merito alla decisione di avere una famiglia diventano fenomeni all’ordine del giorno.

Al fine di ottenere pieno ed equo accesso e partecipazione alla scienza per le donne e le ragazze e raggiungere ulteriormente l’uguaglianza di genere e l’emancipazione di donne e ragazze, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato l’11 febbraio come Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza.

Purtroppo, ancora oggi, stereotipi e pregiudizi rendono le carriere delle donne un percorso a ostacoli. Solo il 16,5% delle giovani tra i 25 e i 34 anni si laureano in facoltà scientifico-tecnologiche, a fronte di una percentuale più che doppia per i maschi (37%).

Le donne rappresentavano un ricercatore su tre (33%) nel 2018. Hanno raggiunto la parità (in numero) nelle scienze della vita in molti paesi e in alcuni casi dominano persino questo campo.

Tuttavia, le donne rimangono una minoranza nella tecnologia dell’informazione digitale, nell’informatica, nella fisica, nella matematica e nell’ingegneria. Questi sono i campi che stanno guidando la rivoluzione digitale e, quindi, molti dei lavori di domani.

Le donne della scienza antifumo

Nel campo della riduzione del danno da fumo, sono sempre di più le voci di donne che rappresentano eccellenze nel settore della ricerca (spesso anche molto giovani) premiate per le grandi doti di analisi e precisione.

Di seguito vi proponiamo un elenco di alcuni dei nomi più illustri nel campo della ricerca scientifica sulla riduzione del danno da fumo, tra loro molte giovani ragazze:

  • Marewa Glover, Director of the Centre of Research Excellence on Indigenous Sovereignty and Smoking
  • Sree Sucharitha, Professor, Department of Community Medicine, Tagore Medical College Hospital, Chennai, India
  • Caitlin Notley, professor at Norwich Medical School at the University of East Anglia in Norwich, England
  • Carrie Wade, Director of Harm Reduction Policy, R Street Institute
  • Sharon Cox, Senior Research at University College London
  • Louise Ross, vice-chair of the New Nicotine Alliance
  • Pooja Patwardhan, Medical Director Centre for Health Research and Education UK
  • Renee O’Leary, project leader In Silico Science, CoEHAR, University of Catania
  • Tatiana Betson, Toxicology manager at BAT
  • Patricia Kovacevic, General Counsel and Chief Compliance Officer at Nicopure Labs
  • Eliana Golberstein, Chemist and a Pharmacist from New Zealand with studies in Public Health in the Taipei Medical University
  • Marilena Maglia, Clinical and health psychologist and researcher at the CoEHAR University of Catania and LIAF Italian Antismoking League
  • Lynne Dawkins, Professor of Nicotine and Tobacco Studies, London South Bank University
  • Karolien Adriaens, Faculty of Psychology and Educational Sciences, Leuven
  • Anastasia Barbouni, Professor of Public Health and Disease prevention, Department of Public and Community Health, School of Public Health, University of West Attica, Athens
  • Rosalia Emma, Lab manager and Data manager Replica project, CoEHAR, University of Catania
  • Amaliya Amaliya, PhD in Dentistry-Periodontology, Universitas Padjadjaran
  • Venera Tomaselli, Associate Professor of Social Statistics, University of Catania
  • Margherita Ferrante, Professor of General and Applied Hygiene, University of Catania
  • Cother Hajat, Professor of Public Health, Epidemiology and Medical Advisor, Royal College of Physicians, London
  • Emma Stein, Environmental, Social and Governance (ESG) Communications
  • Jennifer di Piazza, PhD, Doctoral Lecturer at Hunter College School of Nursing and a Board Certified Psychiatric Nurse Practitioner
  • Maria Salvina Signorelli, Psychiatrist, Psychotherapist, University of Catania

Quanta acqua bere per smettere di fumare?

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Il corpo umano è formato per il 60% di questo elemento semplice e primario: l’acqua.

La prima cosa da fare per contrastare l’effetto della ritenzione idrica è bere, e in genere questa abitudine ci deve accompagnare in ogni stagione, in particolare d’estate poiché il caldo aumenta la sudorazione e dunque la perdita di acqua dal nostro corpo, che deve essere frequentemente reintegrata.

L’acqua è ricca di sali minerali e oligoelementi, indispensabili per il corretto funzionamento di tutto l’organismo. In particolare, nei fumatori l’acqua accelera il processo di eliminazione della nicotina e dei prodotti tossici provenienti dalla combustione del tabacco attraverso l’urina, favorendo dunque la disintossicazione. Bere un bicchiere d’acqua a piccoli sorsi riduce il desiderio di fumare e, assieme alle fibre, allevia la stitichezza.

I medici consigliano di bere circa due litri d’acqua, da distribuire durante la giornata, in particolare al mattino è essenziale per pulire l’organismo dalle scorie accumulate durante la notte. Oltre ad eliminare le tossine, un bicchiere d’acqua ha il potere di far sparire la tipica secchezza dalla gola del fumatore. Questo è utile ogni qualvolta ritorna la voglia di fumare; bere un bicchiere d’acqua fresca rappresenta un rituale utile a dissuadersi dal fumare una sigaretta, aiutando i polmoni ad eliminare il muco e praticando un’azione lenitiva per la tosse.

Tanti i benefici, tra cui: effetto diuretico, effetto digestivo, depurativo per il fegato e la pelle, idratante per il corretto funzionamento del sistema linfatico e circolatorio, rinfrescante per l’alito. Tutti questi effetti combinati, rappresentano un aiuto fondamentale anche per smettere di fumare.

L’acqua deve essere leggera, con ridotta quantità di sodio e basso residuo fisso. Può essere utilizzata anche per realizzare tisane, infusi o acque aromatizzate da preparare con erbe, frutta e verdura fresca, tutte gradevoli soluzioni che ci aiutano a smettere di fumare, ma che soprattutto in estate si possono consumare tiepide o fredde, donando una sensazione di freschezza al corpo ed alla mente.

Clive Bates: la disinformazione sulle ecig come una scena del crimine americana

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Le percezioni legate al rischio delle sigarette elettroniche sembrano quasi una “scena del crimine americana– questo è il titolo di uno degli ultimi articoli firmati dall’esperto internazionale di Harm Reduction, Clive Bates che sul suo blog “The Counterfactual” ha pubblicato una interessante disamina della disinformazione dilagante sulla questione “riduzione del danno”.

La maggior parte degli americani oggi crede erroneamente che le sigarette elettroniche siano altrettanto o più dannose delle sigarette convenzionali. Le organizzazioni sanitarie statunitensi hanno coltivato in modo immorale questo equivoco e si sono confrontate sfavorevolmente con gli equivalenti britannici“.

Questo è quanto emerge da un sondaggio del National Cancer Institute degli Stati Uniti con cui sono state confrontate le comunicazioni sui rischi del vaping di quattro importanti organizzazioni sanitarie americane e quattro organizzazioni simili del Regno Unito. Il risultato del confronto è schiacciante.

Ma cosa emerge esattamente dal grafico?

  • Il 27,7% degli americani pensa che le e-cig siano più dannose o molto più dannose delle sigarette, e il 62% pensa che siano altrettanto o più dannose anche su questo non c’è alcuna base sostanziale;
  • Solo il 2,6% ha una percezione approssimativamente accurata di “molto meno dannosa”;
  • “Meno dannoso” si trova solo all’8,6%;
  • “Non so” in questo contesto è probabilmente una barriera significativa al cambiamento. Date le informazioni contrastanti e confuse che circolano, non sapere sarebbe una risposta ragionevole e una ragione per non rischiare di cambiare.
  • L’epidemia di lesioni polmonari del 2019 negli Stati Uniti, ufficialmente nota come EVALI, ha indubbiamente influenzato i risultati del 2020.

Come sono nate queste percezioni errate?

Le ragioni immediate del disallineamento tra le percezioni pubbliche sul rischio e le valutazioni degli esperti non sono difficili da capire. Alcuni fattori importanti come EVALI e forse le affermazioni relative alla pandemia COVID-19, il modo in cui queste sono state giocate nelle campagne anti-vaping. Ma anche gli infiniti spaventi mediatici e comunicazioni di rischio che sono stati falsi (come il vaping che provoca attacchi di cuore o ossa rotte) o, più comunemente, tecnicamente corretti ma fuorvianti – vedi le varie forme di narrazione “non è un’alternativa sicura”, “si presume che sia più sicuro”, “commercializzato come più sicuro”, “non sappiamo effetti a lungo termine” (come se non sapessimo nulla), e naturalmente sempre lo spettro dell’industria del tabacco.

Da non sottovalutare anche l’enorme proliferazione di studi scientifici spesso condotti con metodi ortodossi e lontani da standard condivisi, gli studi infatti spesso non ripetono le normali condizioni d’uso delle sigarette elettroniche e portano a risultati e dati discordanti. Il progetto Replica, uno dei progetti di ricerca del CoEHAR, ha invece confermato in questi due anni i risultati ottenuti dai maggiori studi internazionali, validandoli con tecniche innovative e testandoli in diversi laboratori internazionali, in condizioni indipendenti, confermando la minor tossicità dei dispositivi elettronici a rilascio di nicotina

Si tratta di una comunicazione dannosa come quella delle Big Tobacco degli anni 70?

Quello che sta succedendo non è etico e non eliminerà il fumo, anzi porterà più morti e malattie.

Qual è la posizione del Regno Unito?

La percentuale di britannici che crede che le sigarette elettroniche siano più o ugualmente dannose delle sigarette era del 37% nel 2020 e del 32% nel 2021. Per gli Stati Uniti nel 2020, quella cifra è del 62%. Quindi molto più sbagliato negli Stati Uniti, ma un livello comunque allarmante nel Regno Unito. Solo l’11-12% degli inglesi crede (correttamente) che le sigarette elettroniche siano molto meno dannose, ma questo si confronta con solo il 2,6% negli Stati Uniti nel 2020.

Una delle sfide che la comunicazione scientifica deve affrontare è equilibrare la necessità di dare informazioni chiare e precise con lo scopo di rassicurare le persone.

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Tobacco Transformation Index: le industrie si impegnano davvero?

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tobacco transformation index

Il Tobacco Transformation Index, lanciato a settembre 2021 su iniziativa della Foundation for a Smoke Free World, mira a valutare l’impegno delle 15 maggiori industrie del tabacco verso le politiche di harm reduction. Ma quanto è duttile come strumento?

di Costanza Nicolosi

Con 1.3 miliardi di fumatori nel mondo e oltre 8 milioni all’anno di morti per patologie fumo correlate, la valutazione degli sforzi delle major dell’industria del tabacco per ridurre l’impatto dannoso del fumo sulla popolazione assume un significato ancora più importante.

Con quasi il 90% della vendita totale mondiale di sigarette, le 15 aziende facenti parti dell’indice hanno un peso specifico importante sulle scelte dei consumatori e sulla distribuzione dei prodotto a base di tabacco sui mercati.

Se si osservano i dati di alcuni di questi grandi produttori che si sono impegnati nell’adottare scelte che contribuiscano alla lotta al tabagismo, valutati secondo i criteri di gestione aziendale quali marketing, strategia di vendita e lobbying, si nota come gran parte del loro business sia ancora incentrato sulle sigarette.

L’indice, nonostante la nascita recente, ha già ottenuto qualche effetto: la svedese MATCH AB ha difatti annunciato nel corso del 2021, il cambio di rotta nella vendita dei sigari, uno dei capisaldi della sua produzione che rappresenta circa il 28% dell’intero ricavo.

Lo scopo? Orientarsi  verso il tabacco orale e prodotti a base di nicotina come il tabacco da fiuto o quello da mastico.

Una scelta aziendale che avrà un impatto notevole sulla valutazione dell’indice. Tuttavia, se parlassimo di harm reduction in senso stretto, la decisione influisce semplicemente sulla proprietà del marchio e sull’eventuale vendita di sigari, che continueranno a rimanere in commercio. E la relativa valutazione dell’indice, se da un lato premierà la cessione, dall’altro non esprimerà giudizi su chi acquisirà il marchio, sopratutto in caso di aziende private o statali.

Il Tobacco Transformation Index ha dunque delle falle?

L’indice nasce con l’intento di dare una visione sintetica dell’approccio che moltissime aziende impegnate nella produzione di prodotti del tabacco hanno nei confronti delle scelte che possono ridurre il danno proveniente dai classici prodotti del tabacco.

In caso di situazioni come quella della Swedish Match, eventuali cambi societari non fanno parte del campo di applicazione dell’indice e comporterebbero un livello di analisi più dettagliato e che richiederebbe categorie ancora più specifiche.

Le difficoltà dell’indice stanno però proprio nel riuscire a riconoscere i comportamenti che si centrano e soddisfano alcuni criteri dell’indice, ma che non corrispondono a un reale impegno.

Un esempio? Eventuali cambiamenti di assetto societario o disinvestimenti specifici che aumenterebbero il ranking nell’indice ma che non sono lo specchio delle politiche dell’azienda.

Il Tobacco Transformation Index, inoltre, dovrebbe saper valutare il comportamento delle industrie anche in relazione ai paesi e alle geografiche a cui si legano le diverse attività, tenendo in considerazione il quadro normativo di riferimento, le abitudini dei consumatori e specifici fattori che influiscono sui mercati.

Da un punto di vista giuridico, una possibile evoluzione del Tobacco Transformation Index deve poter misurare in maniera sintetica anche un aspetto prettamente normativo e l’eventuale relazione tra questo e le attività di produzione e vendita dei prodotti a base di tabacco.

L’ambito di applicazione dell’indice è dunque alquanto difficile da delineare e si basa molto sulla capacità delle aziende di essere il più possibile trasparenti, favorendo la cooperazione per il raggiungimento degli obiettivi.

Il passaggio a un approccio di riduzione del danno è senza dubbio il primo ma anche il passo più concreto da compiere contro l’epidemia tabagica e verso un mondo veramente senza fumo. E l’Indice ne è una parte importante.