lunedì, Gennaio 13, 2025
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Giornata della Ricerca italiana nel mondo: i numeri di CoEHAR

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Oggi 15 aprile – data di nascita di Leonardo Da Vinci – si celebra la quarta edizione della Giornata della ricerca italiana nel mondo. Una iniziativa che nasce dalla collaborazione tra la Farnesina e il MUR per sostenere e ringraziare tutti i ricercatori e gli accademici italiani impegnati all’estero e non solo.

I ricercatori italiani nel mondo rappresentano una grande eccellenza internazionale ma anche una risorsa fondamentale per il futuro del pianeta. L’Italia è oggi al 7° posto nelle classifiche mondiali per numero di pubblicazioni scientifiche e di ricerca, nonché all’8° posto per la qualità di queste pubblicazioni. 

Ma quanto ha influito la scienza della Riduzione del danno da fumo in questo sviluppo della scienza italiana nel mondo?

Per comprendere fino in fondo il clamoroso sviluppo di questo settore, basta pensare che le prime sigarette elettroniche sono entrate in commercio solo nel 2003 ed è solo nel 2013 che si sono iniziati a studiare gli effetti dello strumento. ECLAT, firmato dal prof. Riccardo Polosa, è stato il primo studio al mondo che ha valutato l’efficacia e la sicurezza della sigaretta elettronica come strumento per smettere di fumare.

Sono passati meno di 10 anni e PubMed (il motore di ricerca di letteratura scientifica più usato al mondo) alla voce “ecigarettes” conta più di 5000 pubblicazioni.

Un ambito di studio completamente nuovo che continua ad espandersi coinvolgendo centinaia di ricercatori italiani di differenti atenei impegnati a trovare risposte efficaci, non solo sulla riduzione del danno da fumo, ma anche sull’utilizzo degli strumenti a rischio ridotto in settori diversi per la cura e la prevenzione della salute.

Ed è in questo scenario che si inserisce l’attività dei ricercatori italiani del CoEHAR e della LIAF che ormai da anni lavorano alla creazione e standardizzazione di un network di elevato spessore scientifico internazionale che collabora insieme per lo scambio di scienza e conoscenza.

Una rete globale di enti e ricercatori che vanta oggi più di 100 ricercatori impegnati in tutto il mondo, più di 300 pubblicazioni scientifiche sulla riduzione del danno, migliaia di fumatori che hanno smesso definitivamente di fumare e centinaia di pazienti coinvolti in numerosi progetti di ricerca.

Un network internazionale, quello del consorzio CoEHAR che, partendo da Catania (ormai capitale della ricerca sulle sigarette elettroniche), ha segnato e guidato il percorso storico e rivoluzionario della scienza della Riduzione del danno da fumo nel mondo.

Una posizione di prestigio ottenuta grazie all’attività di migliaia di ricercatori che non si sono mai fermati nemmeno durante questo difficile e ormai lungo lockdown generalizzato.

L’Università degli Studi di Catania, ricordiamo, è considerata ancora oggi, nonostante la proliferazione di studi in materia, l’ente più autorevole al mondo nel campo della ricerca applicata alla riduzione del danno da fumo ed il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, è lo scienziato più produttivo al mondo in questo settore. Nato nel 2018, il CoEHAR ingloba al suo interno più di 80 ricercatori dell’ateneo di Catania tra medici, professori e operatori tecnici afferenti a diversi dipartimenti che collaborano insieme per avviare progetti di internazionalizzazione che consentono di creare scienza e innovazione.

Questa però è la giornata di tutti i ricercatori impegnati nel mondo su temi e ambiti diversi ed è a tutti loro che va il nostro più sincero GRAZIE.

Al via al CoEHAR il progetto “Smile Study”

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Il CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania) presenta “Smile Study”, il nuovo progetto di ricerca dedicato alla riduzione dei danni provocati dal fumo alla salute dentale.

Giovedì 22 Aprile dalle ore 9,30 alle 16,00 sulla piattaforma zoom, il CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania) organizza il kick off meeting del progetto di ricerca internazionale Smile Study.

Smile Study” è uno studio randomizzato controllato internazionale progettato per determinare se i fumatori di sigarette convenzionali che passano a sistemi a rischio ridotto (i.e. sigarette elettroniche e prodotti a tabacco riscaldato) hanno un miglioramento misurabile dei parametri di salute orale e aspetto dentale, come conseguenza della mancata esposizione alle sostanze tossiche del fumo di sigaretta.  

L’evento è dedicato alla presentazione ufficiale di tutte le attività previste dal primo studio al mondo sugli effetti dei prodotti a rischio ridotto su denti e cavo orale, coinvolgendo sei partner internazionali.

Tra i partecipanti al meeting internazionale saranno presenti i delegati di: Università di Bologna, Università di Modena Reggio Emilia, Addendo Dental Clinic (Italia), Universitas Padjajaran (Indonesia),University Hospital of Warsaw (Polonia), Fala Dental Clinic (Moldavia).

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Fare jogging all’aperto: mascherina si oppure no?

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jogging mascherine photo Unsplash by @gemilang

Secondo le linee guida del Ministero, per fare jogging all’aperto da soli, non è necessario indossare la mascherina. Ma la comunità scientifica e l’opinione pubblica si dividono sul tema. La mascherina influisce sulla prestazione? Correre da soli causa un aumento del rischio di contagio?

È passato circa un anno da quando le restrizioni imposte a causa della diffusione coronavirus hanno modificato radicalmente le nostre abitudini. Tra le prime norme di prevenzione, la mascherina si è rivelata essere uno tra gli strumenti più efficaci per limitare il contagio.  

Un misura preventiva fondamentale sia per il personale impiegato in prima linea nel combattere l’epidemia sia per la popolazione.

Da quando però è stato possibile riprendere l’attività motoria, la necessità di impedire il contagio e le fattibilità di praticare sport con o senza mascherina hanno alimentato un dibattito che non solo ha diviso l’opinione pubblica, ma anche la stessa comunità scientifica.

Indossare la mascherina durante una corsa influenzerebbe la prestazione? Non indossarla comporterebbe un aumento del rischio di contrarre l’infezione? 

Uno studio pubblicato sull’European Respiratory Journal ha monitorato lo sforzo fisico di 6 uomini e 6 donne attraverso una batteria di test respiratori in diverse condizioni: senza mascherina, con mascherina chirurgica e con mascherina FFP2.

I risultati confermano un lieve effetto della mascherina sull’attività respiratoria, non tale però da creare un affaticamento considerevole o una limitazione importante alla ventilazione cardiopolmonare.

Uno studio che mostra però alcune limitazioni importanti: al di là del campione abbastanza ristretto, i normali test da sforzo eseguiti al chiuso non tengono conto delle condizioni di esecuzione che aumentano l’affaticamento durante lo sforzo.

La mascherina è uno strumento che ancora oggi permette di limitare la diffusione dell’infezione e va sempre indossata, insieme al mantenimento della distanza di sicurezza.

Considerando, dunque, una normale attività di jogging all’aperto, in solitaria, con una andatura di circa 10km/h per un tempo di 20-30 minuti, quanto si amplifica il rischio diffusione del virus?

Non esistono ad oggi studi specifici che possono fornirci valori numerici significativi. D’altronde troppe sono le condizioni che possono intervenire a modificare i parametri.

Il nostro ragionamento dunque deve orientarsi su altre valutazioni: in primis, indossare la mascherina durante l’esercizio all’aperto è fastidioso. La mascherina dopo poco si impregna dell’umidità del respiro, si bagna, aumentando effetti come il naso che cola e compromettendo gravemente l’efficacia della mascherina già dopo pochissimo tempo.

Esiste anche una forte componente psicologica: l’imposizione forzata durante lo sport, in condizioni di relativa sicurezza, potrebbe causare un effetto opposto. Le difficoltà del periodo, sommate all’ansia e allo stress, generano un senso di rifiuto che porta a non voler indossare la mascherina anche in situazioni dove è necessario.

È chiaro che il discorso cambia se consideriamo luoghi chiusi come le palestre, dove però già alcune misure avevano dimostrato di funzionare, tra le quali una maggior ventilazione, l’obbligo di ridurre la capienza e di presentarsi con appuntamento

La mascherina è senza dubbio uno degli strumenti più efficaci per contenere la diffusione del virus – dichiara il Prof. Riccardo PolosaEd e’ sacrosanto utilizzarle a tappeto in luoghi affollati o a rischio. E’ ridicolo pensare che una corsetta all’aperto possa rientrare in una di queste due categorie. Inoltre, sfido chiunque a fare del jogging indossando la mascherina. Nel giro di 10-15 diventa così satura di condensato respiratorio che diventa difficile anche respirare! Bene quindi pensare ad altre precauzioni, correre all’ aria aperta, respirando dal naso, e rispettare le distanze di sicurezza quando incrociamo altre persone. Il buon senso e il rispetto devono essere alla base delle nostre azioni“.

Praticità e buon senso devono dunque essere le direttive che guidano le nostre azioni, per non rischiare di compromettere il lavoro compiuto fino ad oggi.

Vista l’attuale situazione è bene prendere tutte le precauzioni necessarie, nel rispetto degli altri: si all’attività fisica all’aperto, meglio se da soli. Teniamo sempre una mascherina a portata di mano da indossare all’evenienza o se attraversiamo zone densamente frequentate, e scegliamo orari o zone in cui l’affluenza non è al massimo.

E consideriamo sempre di mantenere la distanza tra chi corre e le persone sul marciapiede o nelle aree pedonali.

In ultimo, potrebbe essere utile scegliere fasce della giornata non densamente frequentate.

Non sottovalutiamo il potere dell’aiuto reciproco e del rispetto: grazie alla collaborazione siamo riusciti a superare fasi delicate, e tutt’ora il rispetto rappresenta la nostra arma più efficace per combattere l’epidemia.

In Malesia, l’88% dei fumatori ha smesso grazie al vaping

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Un recente sondaggio commissionato dalla Malaysian Vape Industry Advocacy (MVIA) riporta che tra gli intervistati, l’88% ha smesso di fumare grazie al vaping.

Risultati ottimi in un paese, la Malesia, vicina geograficamente a stati dove la percentuale di fumatori è altissima e l’utilizzo del vaping nella politiche di cessazione è osteggiato o ignorato.

Evidenze in linea con i risultati dei centri di ricerca sul tabagismo e sulla cessazione che promuovono il vaping come strumento utile per abbandonare il fumo tradizionale, ottenendo benefici in termini di salute nel giro di poco tempo.

Ottimi anche i dati relativi agli utilizzatori duali: il 79% degli intervistati dichiara che ha diminuito il numero di sigarette fumate.

Questi risultati hanno spinto molti governi in tutto il mondo a lanciare campagne di sensibilizzazione a livello nazionale per incoraggiare i fumatori a smettere passando allo svapo” – ha dichiarato Rizani Zakaria, presidente MVIAC’è una reale necessità per il governo malese di riconoscere i benefici dello svapo, in particolare il potenziale che ha per aiutare i fumatori a smettere di fumare passando a un prodotto meno dannoso“.

Il questionario Malaysian Insights & Perspectives on Vape survey, e condotto dalla società di ricerche di mercato Green Zebras, indica anche che il 56% dei malesi in generale, afferma che lo svapo è aumentato negli ultimi anni e il motivo principale che contribuisce a questo è perché lo svapo è percepito come meno dannoso del fumo di sigaretta.

Il governo dovrebbe espandere la struttura fiscale per includere e-liquid da svapo contenenti nicotina e introdurre regole chiare per questo prodotto. In questo modo, il governo può massimizzare la riscossione delle entrate e, allo stesso tempo, garantire che i consumatori utilizzino prodotti regolamentati in Malesia“, dichiara Rizani.

Fumo elettronico, Anafe: bene report UK sul vaping. L’Oms non può ignorare il rischio ridotto dello svapo

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Umberto Roccatti: “Tempi maturi per la riduzione del rischio nelle politiche antifumo”

Roma, 13 aprile 2021. ANAFE – Associazione Nazionale Produttori Fumo Elettronico aderente a Confindustria – accoglie con favore il rapporto sul vaping rilasciato dall’intergruppo parlamentare inglese Aapg (Party Parliamentary Group) che ha l’obiettivo di promuovere la sigaretta elettronica come strumento di riduzione del rischio nelle politiche antifumo, in aperta opposizione all’OMS, che invece intende limitare aspramente lo svapo, messo ideologicamente sullo stesso piano del fumo tradizionale.

“Il Regno Unito, grazie ad un approccio scientificamente laico e progressista, si dimostra ancora una volta all’avanguardia nei confronti delle politiche antifumo, sottolineando come il vaping sia un’ottima opportunità per ridurre significativamente il numero di fumatori, nonché le spese sanitarie correlate al fumo”. Così ha commentato l’iniziativa dell’intergruppo parlamentare inglese il Presidente di ANAFE, Umberto Roccatti.

“Insieme al Parlamento inglese, condividiamo l’obiettivo di garantire uno strumento a rischio ridotto – del 95% meno dannoso rispetto al tabacco tradizionale – al miliardo di persone in tutto il mondo che non vogliono o non riescono a smettere di fumare, quasi 10 milioni solo in Italia”.

“Condividiamo in particolare le raccomandazioni del rapporto all’OMS che includono l’affermazione del principio di riduzione del rischio e l’abbandono di posizioni proibizioniste, la limitazione di qualsiasi decisione relativa al divieto di svapo e di altre alternative a rischio ridotto del fumo, il coinvolgimento di esperti e consumatori durante l’evento internazionale delle parti (COP) e l’istituzione di un gruppo di lavoro per esaminare la scienza e le prove per i prodotti nuovi ed emergenti.

Dopo tutte le evidenze scientifiche, non solo è grave considerare la sigaretta elettronica marginale nella lotta al fumo e continuare ad esporre milioni di fumatori al rischio di cancro, ma ancor più assurdo che siano paragonate al fumo tradizionale, che causa quasi 1/3 dei casi di cancro in Europa”. Ha aggiunto il Roccatti.

“L’iniziativa inglese assume particolare rilevanza in questo momento storico in cui ci stiamo avvicinando a importanti appuntamenti internazionali nel corso dei quali le istituzioni di tutto il mondo saranno chiamate ad affrontare il tema. Ricordo infatti che a novembre ci sarà la COP9 (Conferenza delle parti), il più importante evento istituzionale di confronto sul settore, in merito al quale non solo auspico che la posizione inglese possa essere presa finalmente in considerazione ma soprattutto che anche altri Paesi dove la cultura della riduzione del rischio è già realtà possano condividere gli effetti positivi dell’utilizzo delle sigarette elettroniche nelle campagne antifumo, contribuendo così ad un cambio di passo da parte dell’OMS”. Ha concluso Roccatti.

È la combustione che fa la differenza, e non la nicotina

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Sondaggi effettuati negli anni in diverse parti del mondo hanno dimostrato che la maggior parte delle persone intervistate sulla percezione della nicotina crede che essa sia il fattore di rischio determinante collegato ai danni da fumo.

Il risultato di questi sondaggi ci dice, infatti, che il 38% degli intervistati crede che la nicotina sia un fattore di rischio per infarto e ictus; il 50% la ritiene un fattore di rischio moderato ed il 40% la ritiene la principale causa di tumori.

Va detto altresì che un paper intitolato “Tobacco Harm Reduction in the 21st century” (e realizzato dalla ricercatrice Renée O’Leary e dal prof. Riccardo Polosa) offre una visione a 360 gradi della dipendenza da tabacco che parte dalla definizione chiara del ruolo che ha la nicotina nei danni fumo correlati.

La comunità scientifica da sempre dibatte su questo tema ed è molto importante che chi fornisce servizi sanitari sia preparato sull’argomento, proprio per evitare che passi una comunicazione sbagliata.

Se analizzassimo la nicotina, sapremmo che è uno stimolante ed è il principale componente della pianta del tabacco. Si trova in quasi tutti i prodotti a base di tabacco, ma anche in diversi tipi di medicinali, come quelli che vengono utilizzati dai centri antifumo e nei percorsi di smoking cessation, si pensi alle gomme o ai cerotti. La nicotina può avere anche degli effetti positivi, utile nella gestione di patologie depressive” – si legge nel report.

Quand’è, allora, che bisogna fare attenzione?

La nicotina è velenosa se assunta in elevate concentrazioni, e può aggravare lo stato di salute quando un individuo presenta già dei problemi correlati. Se assunta durante la gravidanza, ad esempio, risulta dannosa e può causare danni al feto.

La nicotina crea dipendenza? Sì.

Questo è, infatti, uno dei fattori più complessi per chi prova a smettere di fumare.

Il grado di dipendenza da nicotina dipende dalla velocità con cui viene introdotta nell’organismo e raggiunge il cervello. Nei fumatori l’assunzione avviene rapidamente e questo è ciò che causa la dipendenza a tutti gli effetti. Naturalmente questo processo non avviene durante le terapie dei centri antifumo. In quel caso la nicotina viene rilasciata a dosi, gradualmente.

Le barriere socio-culturali ed economiche, tra cui tasse elevate e percezioni sbagliate sulla nicotina, hanno influenzato negativamente la comunicazione e questo ha impedito che tali prodotti fossero accessibili a tutti.

Gli strumenti a rischio ridotto sono il 95% meno dannosi rispetto alle sigarette convenzionali. Per chi non riesce a smettere di fumare da solo, passare a prodotti senza combustione consente di ridurre i danni fumo correlati e nel mondo questo consente di salvare milioni di vite. Questo è il principio su cui si basa l’Harm Reduction (la teoria scientifica della Riduzione del Danno).

Vapril, l’iniziativa UK che consiglia il vaping per smettere

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Il mese di aprile, in Inghilterra, è dedicato alla cessazione: Vapril è la campagna che si rivolge direttamente ai fumatori e li incoraggia a passare ai dispositivi a rischio ridotto, organizzata dalla UKvia, UK Vaping Industry Association.

Un’attività giunta ormai alla quarta edizione e che vede il forte supporto di Public Health England, la più importante autorità di salute pubblica inglese che da anni ormai promuove il vaping come strumento nei percorsi di smoking cessation.

L’edizione del 2021 sarà interamente online, ma ciò non modifica l’obiettivo finale: raggiungere quanti più fumatori possibili convincendoli a smettere grazie alla sigaretta elettronica.

Una campagna che negli ultimi anni, secondo quanto riportato da una ricerca di One Poll, ha permesso a molti tabagisti di smettere: su un campione di 2000 adulti, il 72% ha dichiarato di essere passato al vaping grazie alla campagna.

Un grande obiettivo in un paese, l’Inghilterra, dove si contano circa 3 milioni di svapatori e dove le autorità di salute pubblica non solo incoraggiano la cessazione attraverso i dispositivi a rischio ridotto, ma consigliano al personale medico e sanitario di promuovere questa alternativa nei percorsi di smoking cessation.

L’edizione di quest’anno si è aperta con un webinar a cui hanno partecipato alcuni tra i maggiori esperti internazionali, tra cui Clarence Mitchell, John Dunne, Mark Pawsey, Patricia Kovacevic e Clive Bates, che hanno fornito una panoramica generale del settore e delle sfide che devono essere compiute per combattere la disinformazione sui prodotti a rischio ridotto.

Il sito di Vapril offre una panoramica a 360° del mondo del vaping e permette all’utente di navigare in tutta facilità tra le diverse sezioni: si possono conoscere le esperienze di chi ha smesso, si possono scaricare piani per lo switch e trovare i negozi per svapatori più vicini alla propria posizione. 

Un’iniziativa che permette alla Gran Bretagna di essere ancora la capofila di un movimento che incentiva attivamente i fumatori a provare alternative al fumo, incoraggiando al contempo scelte di vita più salutari.

UNICEF e LIAF: milioni di bambini a rischio nelle piantagioni di tabacco

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Fumare una sigaretta regala una piacevole, ma effimera, sensazione di piacere. Quando fumi di certo non pensi a come quel prodotto è stato creato. Ma dietro ad un pacchetto di sigarette convenzionali esiste un’industria che mette a rischio le categorie più vulnerabili, anche i minori.

L’articolo 32 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza recita: “Gli stati parte riconoscono il diritto di ciascun bambino, bambina, ragazzo e ragazza ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e non essere costretto ad alcun lavoro che rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo…

Indonesia, Malawi, Zimbabwe, Filippine sono Paesi in cui crescere significa iniziare a lavorare sin da piccoli per collaborare al mantenimento economico della famiglia. Nel mondo, sono 152 i milioni di bambini vittime di sfruttamento, di cui circa 73 milioni sono costretti a lavori pericolosi e dannosi per lo sviluppo e la salute. Una piaga, quella del lavoro minorile, che affonda le sue radici nella necessità, nella fame e nel bisogno: domanda e offerta, in una logica dura da spezzare.

Spesso si tratta di lavori massacranti, in alcuni settori più di altri. E tra questi, ad esempio, i lavori svolti nelle piantagioni di tabacco da migliaia di ragazzini, e il cui ricavato alimenta un’industria da miliardi di dollari l’anno.

Qualche anno fa, Human Rights Watch denunciava l’impiego di lavoratori adolescenti nelle piantagioni di tabacco in USA (North Carolina, Tennesse, Virginia e Kentucky). Ragazzi di 16 e 17 anni che venivano assunti senza sapere quale fosse il prezzo che pagavano in termini di salute. 

Ma spostiamoci verso aree più lontane da noi, come l’Indonesia. In una intervista pubblicata sempre da Human Rights Watch a parlare è Ayu, una ragazzina di 13 anni. Ora, l’Indonesia è uno stato con una regolamentazione tra le più importanti per quanto riguarda il lavoro minorile nel sud-est asiatico. Sappiamo che la logica stringete della domanda e dell’offerta purtroppo sfugge alle maglie legali nelle aree più lontane e rurali, dove la fame e il bisogno sono una realtà quotidiana. Ma le condizioni di lavoro che Ayu racconta testimoniamo una vita dove la necessità rende prigionieri ragazzi che molto spesso abbandonano lo studio per aiutare le proprie famiglie. 

Paesi lontani tra loro, alcuni più sviluppati altri meno. Ma ciò che colpisce è un fattore comune: tutte le storie, da quella americane a quelle indonesiane o brasiliane, parlano di sofferenza e dolore. 

I ragazzi costretti a lavorare nelle piantagioni, senza dispositvi di sicurezza adeguati, sperimentano nausea, vomito, vertigini. Senza parlare dello stato di intossicazione prodotto da pesticidi e agenti chimici utilizzati per massimizzare la produzione.

L’esposizione a sostanze tossiche ha sia effetti immediati sul corpo, che risvolti più subdoli sullo sviluppo fisico e cognitivo di questi ragazzi. A ciò, si somma la stanchezza e il pericolo di lavorare ore ed ore in condizioni di umidità e caldo insopportabili.

E se questo era lo scenario qualche anno fa, la situazione attuale potrebbe essere peggiorata: secondo un report di UNICEF e ILO, la pandemia e la conseguente estrema povertà potrebbero aver aumentato i numeri riguardanti lo sfruttamento minorile.

Ma come possiamo tutelare i bambini e i ragazzi che crescono in contesti simili? E come possiamo proteggerli se cresciuti in contesti a rischio dipendenza?

Abbiamo intervistato la Presidente Nazionale UNICEF Italia, Carmela Pace, prima donna a ricoprire questa carica nella storia dell’organizzazione in Italia.

1) Quali dati esistono in merito allo sfruttamento del lavoro minorile in Italia e negli altri paesi del Mondo?

A livello globale, 152 milioni di bambini – 64 milioni di bambine e 88 milioni di bambini – sono coinvolti nel lavoro minorile, vale a dire 1 su 10; questa proporzione aumenta nei paesi più poveri del mondo, dove poco più di 1 bambino su 4 è coinvolto nel lavoro minorile. Secondo un recente studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e dell’UNICEF, a causa della pandemia da COVID-19 milioni di bambini in più rischiano di essere spinti verso il lavoro minorile.

Per quanto riguarda l’Italia non ci sono dati aggiornati su questo fenomeno e sarebbe necessario avviare un’indagine a livello nazionale per inquadrare il fenomeno nel nostro paese. 

Come UNICEF Italia riteniamo opportuno ricordare che quando un bambino viene sfruttato perde l’istruzione, le famiglie, talvolta anche la vita. Il lavoro minorile interferisce con l’istruzione ed è pericoloso per lo sviluppo fisico, mentale, sociale e/o morale di un bambino. Sono ancora troppi i bambini privati della loro infanzia, vittime, loro malgrado, di una realtà spietata che li costringe a diventare improvvisamente adulti e li espone a pericoli inimmaginabili. 

2) Qual è la politica di UNICEF nel tutelare i bambini che provengo da situazioni famigliari a rischio (come per esempio contesti di dipendenza)?

I bambini sono bambini sempre a prescindere da dove provengano o si trovano e i loro diritti devono essere rispettati. I bambini dovrebbero vivere e crescere in contesti sicuri dove poter essere ascoltati, compresi e guidati al fine di sviluppare il proprio potenziale e diventare degli adulti consapevoli. 

Ciò che non dovrebbe mai succedere è che un bambino che vive in un contesto a rischio venga dimenticato, lasciato indietro. L’UNICEF lavora con le Istituzioni, le comunità, i governi in tutto il mondo affinchè nessun bambino venga lasciato solo, sia protetto e siano rispettati i suoi diritti. 

3) UNICEF ha mai attivato delle collaborazioni con organizzazioni internazionali che si occupano di controllo del tabacco?

Nelle sue partnership e collaborazioni l’UNICEF ha degli standard di selezione molto elevati, orientati al rispetto dei diritti dei bambini e dell’ambiente. Sulle aziende operanti nel settore del tabacco, l’UNICEF ha delle linee guida molto rigorose che escludono la possibilità di collaborazioni. 

La Convenzione dei diritti dell’infanzia sottolinea il diritto del bambino a godere del “più alto standard di salute raggiungibile” e include obblighi dettagliati per gli Stati, molti dei quali sono rilevanti per proteggere i bambini dagli effetti nocivi del tabacco.

4) Quale messaggio positivo la vostra Presidente vuole lanciare per promuovere la tutela e la salvaguardia dei bambini che crescono negli ambienti a rischio? 

Ci sono milioni di bambini che vivono in condizioni di forte insicurezza e a rischio in Siria, in Yemen, in Repubblica Democratica del Cogno, solo per fare alcuni esempi. I bambini sono quelli che spesso pagano il prezzo più alto di scelte che non hanno fatto, di violenze a cui non dovrebbero essere esposti o guerre che non hanno mai voluto. È nostro dovere essere presenti e vigili e assicurare ad ogni bambino la giusta opportunità di vita. Noi dell’UNICEF operiamo in oltre 190 paesi e territori in tutto il mondo. L’obiettivo della nostra organizzazione è di raggiungere fino all’ultimo bambino e non lasciare indietro nessuno. 

Tobacco Harm Reduction: esiste un “colonialismo filantropico” nei confronti dei paesi in via di sviluppo?

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Cosa lega una iniziativa privata tesa a prevenire il fumo tra gli adolescenti negli Stati Uniti con l’implementazione di Politiche da Riduzione del Danno da Fumo nei paesi maggiormente colpiti da questa piaga? Apparentemente nulla. In realtà, vi è una marcata linea rossa che unisce le due dinamiche.

La Bloomber Philantropies

Nel Settembre 2019 la Bloomberg Philanthropies stanziava 160 milioni di dollari per una campagna dalla durata di tre anni tesa a promuovere politiche anti-fumo tra gli adolescenti statunitensi. Tra gli obiettivi dell’iniziativa, il divieto di commercializzazione delle sigarette elettroniche (e relativi aromi) e il blocco delle attività di tutte le società produttrici di Ecig nel Paese.

Negli anni successivi, il messaggio anti-vaping dominava la discussione politica tra i media statunitensi insieme alla paura crescente di rischi per la salute erroneamente collegate all’uso di sigarette elettroniche. Insieme agli Stati che vietavano tout-court la commercializzazione e l’uso di tali dispositivi montava, infatti, una progressiva campagna di demonizzazione delle e-cig e dei rischi collegati al loro utilizzo.

Tutto questo ha portato un risultato concreto: tra il 2019 e il 2020 si è assistito ad un drastico calo nell’utilizzo di ecig tra gli adolescenti statunitensi.

Una storia di successo, che ha visto l’iniziativa filantropica di un privato raggiungere un obiettivo di salute pubblica.

Ma è davvero cosi’?

Quando la filantropia diventa dannosa

In realtà, secondo molti esperti internazionali, le iniziative del miliardario Michael Bloomberg promuovono un approccio distorto al Tobacco Harm Reduction ed hanno ripercussioni politiche per tutte le politiche di Riduzione dal Danno da Fumo a livello globale.

La scienza deve servire la verità, non gli interessi e le ideologie – ha commentato il Prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR e considerato lo scienziato più citato al mondo nel campo degli studi scientifici sulle sigarette elettroniche – “È facile fare allarmismo ingannando chi non ha conoscenze adeguate per valutare le informazioni in modo critico, e trovo che sia molto disonesto che eminenti scienziati e filantropi abusino della loro posizione e della loro conoscenza per disorientare cittadini, giornalisti e governi.”

Numerosi studi scientifici hanno ormai appurato come le sigarette elettroniche siano uno strumento meno dannoso per la salute rispetto alle sigarette convenzionali. Il mercato di riferimento a cui principalmente si rivolgono tali strumenti è quello dei fumatori adulti che non riescono a smettere di fumare da soli e scelgono di passare a soluzioni prive di combustione.

Vietare integralmente l’uso di sigarette elettroniche per stoppare l’utilizzo tra gli adolescenti non sembrerebbe la scelta più opportuna poiché, secondo molti esperti del settore, produce più danni che benefici per tutti gli adulti che cercano di smettere di fumare.

Qualsiasi crociata contro lo svapo è contro gli interessi della salute pubblica. Ed è tanto più odioso quando sostenuto da milioni di dollari milioni infatti è la parola chiave. Milioni di persone vogliono smettere di fumare ma non ci riescono, quindi continuano con un’abitudine che ne ucciderà la metà a causa di tutte le sostanze cancerogene rilasciate dalla combustione. È il fumo che uccide, non la nicotina. Lo svapo aiuta le persone a smettere” ha dichiarato a LIAF Harry Shapiro, giornalista internazionale e rinomato esperto di Tobacco Harm Reduction.

Cento milioni di persone in tutto il mondo hanno già intrapreso questa via (della sigaretta elettronica) per evitare il fumo, ma questa è solo una piccola parte rispetto al miliardo di persone che ancora fumano in tutto il mondo. Un’agenda morale contro l’uso della nicotina non fa nulla per ridurre il bilancio delle vittime del fumo che- secondo le stime dell’OMS – causerà un miliardo di vittime entro la fine del secolo” ha aggiunto l’editore esecutivo del Global State of Tobacco Harm Reduction report.

Una crociata contro i poveri

Le attività filantropiche di Bloomberg non si limitano all’Occidente ma, attraverso una complessa rete di organizzazioni senza scopo di lucro che finanziano ed influenzano il processo di definizione delle politiche di salute pubblica, si ramificano anche in molte paesi in via di sviluppo.

Il dibattito sulle Ecig e, in particolare, sul diritto dei fumatori ad avere alternative piu’ sicure rispetto alla sigaretta tradizionale non si limita solo ad una questione di salute pubblica ma fa parte di un più ampio dibattito di giustizia sociale per i paesi più poveri. La maggior parte dei fumatori si concentra infatti nei paesi a medio e basso reddito.

L’80% di fumatori vive nel Sud-Est Asiatico, Africa, Medio Oriente e nell’area Mediterranea. In paesi come Cina, India e Indonesia i fumatori nazionali rappresentano il 46% di tabagisti globali. In queste regioni, anche la mortalità da fumo è la più alta al mondo.

Nonostante la filantropia sia necessaria nei paesi in via di sviluppo, quando viene utilizzata per influenzare la politica e raggiungere obiettivi ostili agli interessi di un paese, le conseguenze possono essere disastrose.” Così si esprime a proposito del “colonialismo filantropico” Samrat Chowdhery, Presidente dell’International Network of Nicotine Consumer Organisations (INNCO).

Ed è proprio un recente report dell’INNCO a confutare tutte le argomentazioni fornite dall’Unione, finanziata da Bloomberg, sul divieto di alternative a basso rischio nei Paesi in via di Sviluppo.

“Il termine filantropicapitalismo si applica in particolare alle modalità con cui Bloomberg Philanthropies sostiene tutte le politiche anti-svapo nei paesi in via di sviluppo, di fatto privando i fumatori locali di un’alternativa meno dannosa. La discriminazione è evidente perché non propongono gli stessi divieti nel mondo sviluppato” ha dichiarato Chowdhery.

Yoga: raggiungere il benessere mentale e fisico per dire addio alla sigaretta

yoga smettere di fumare conscious design
yoga pic by conscious design

Omeopatia, agopuntura, yoga, aromaterapia, fitoterapia, ayurveda, medicina tradizionale cinese e shiatsu: sono tantissime le discipline olistiche con cui spesso si entra in contatto.

Le diverse pratiche che afferiscono alla medicina olistica comprendono un metodo di cura totale della persona, agendo sugli aspetti fisici, mentali, emotivi e spirituali per riequilibrare lo stato di salute generale e migliorare la qualità della vita. Il soggetto si riappropria di un sano equilibrio psicofisico, stimolando il naturale processo di auto guarigione.

Non solo corpo, quindi, ma anche anima, mente ed emozioni: “olismo” infatti deriva dal greco e significa totalità. 

Certo, smettere di fumare è un percorso che richiede l’aiuto di uno specialista per aumentare le possibilità di riuscita e non abbracciare terapie self made.

Però esistono diverse discipline che possono aiutare il tabagista: il Reiki, ad esempio, è una terapia complementare di tipo energetico, aiuta a disintossicare l’organismo liberandolo dalla nicotina, principale responsabile della dipendenza. Inoltre agisce a livello mentale, modificando i comportamenti legati alla ritualità, alla gestualità e ai sintomi dell’astinenza.

La Moxibustione è una tecnica derivante dalla medicina cinese: come l’agopuntura, stimola dei punti riflessi ma, anziché usare degli aghi, sfrutta le proprietà terapeutiche del calore. In questo modo si inibiscono i centri nervosi dando degli imput al corpo umano e attenuando le tensioni e l’ansia derivanti dall’astinenza.

Un aiuto viene anche dall’Ayurveda, una pratica che spiega come il cibo alcalino, ad esempio avena, spinaci, uova, mandorle e fichi, sia d’aiuto attenuare la voglia di fumare. Utile anche il ginko biloba, un potente antiossidante che permette all’ossigeno di alimentare i vasi sanguigni compromessi.

Molto spesso, quando si decide di smettere di fumare si è restii ad intraprendere un’attività sportiva. Contrariamente a quanto si pensa, invece, i periodi di difficoltà o di cambiamento sono i migliori per introdurre una nuova routine sportiva.

Tra le pratiche olistiche più importanti che fondono il benessere mentale con quello fisico vi è lo yoga

Abbiamo intervistato Michele Pernetta, fondatrice d egli studi Fierce Grace Yoga, basati su un evoluzione dello hot yoga, e insegnante tra le più conosciute nel panorama internazionale. Michele, con nostra sorpresa, ci ha raccontato che proprio chi decide di smettere di fumare può trarre maggiormente giovamento dalla pratica dello yoga.

Buongiorno Michele, lo yoga può davvero essere di aiuto a un fumatore che vuole smettere?

Qualsiasi tipo di esercizio fisico può coadiuvare un percorso di cessazione. Lo yoga però è impareggiabile nel portare il fisico a uno stato di totale benessere e vitalità. Lo yoga, infatti, migliora la capacità e l’elasticità polmonare, aiutando l’ossigenazione nel sangue, migliorando l’equilibrio tra i principali sistemi dell’organismo, contribuendo a disintossicare il corpo, migliorando la digestione e l’assorbimento dei nutrienti, aumentando la resistenza: il tutto corroborato da centinaia di anni di pratica, che rendono lo yoga una disciplina completa.

Esiste anche un aspetto strettamente correlato al rapporto con sé stessi: molto spesso fumando ci dimentichiamo di ascoltare il nostro corpo e ciò che davvero vuole. Attraverso lo yoga re-impariamo a stare bene, e ristabiliamo una relazione con noi stessi che si fonda sul rispetto del nostro copro. 

Su cosa influisce lo Yoga e che giova a un fumatore che ha deciso di smettere?

Lo yoga allontana lo stress sia a livello fisico, attraverso lo stretching e tutte gli esercizi per l’intero corpo, ma anche attraverso le pratiche di respirazione, che aumentano l’apporto di ossigeno agli organi e permettendo di staccare la spina per un po’ di tempo. È provato infatti che il sollievo generato dal fumo dura pochi minuti: una lezione di yoga, al contrario, ci fornisce 90 minuti di detossificazione, generando un benessere tangibile per il fisico, opposto a quello fittizio generato da una sigaretta.

Come convincere un fumatore a smettere?

Un beneficio immediato dell’iniziare un percorso di yoga, mentre si prova a smettere di fumare, è che semplicemente dopo poco tempo si capisce il limite che il fumo crea sul proprio fisico e sulle proprie performance.

Questo è il vero obiettivo per smettere: mano a mano che miglioriamo negli esercizi, siamo più propensi ad abbandonare gli ostacoli che ci impediscono di raggiungere l’obiettivo.

Lo yoga ci fornisce gli strumenti per sentirci a nostro agio, sani, senza stress e pieni di vitalità. Queste sono le ragioni che ci permettono di abbandonare definitivamente le nostre cattive abitudini, lasciando da parte il filo senso di benessere che una dipendenza crea. 

Il modo migliore per cambiare è di non porre tutta la nostra attenzione su quello che vogliamo modificare, ma concentrarci su ciò che c’è di nuovo e di positivo nella nostra vita, così che possiamo gradualmente abbandonare le cattive abitudini ed abbracciare il nostro nuovo io.