Il sindaco di Torino ha introdotto il divieto di fumo all’aperto (pipe, sigarette, sigarette elettroniche e prodotti a tabacco riscaldato compresi) a una distanza inferiore a 5 metri da altre persone
L’ultima città in ordine cronologico a introdurre una norma restrittiva sul fumo è stata in questi giorni Torino: il sindaco ha infatti emanato un provvedimento che vieta di fumare all’aperto entro 5 metri da altre persone.
La norma riguarda indiscriminatamente tutti i prodotti del tabacco, dalle classiche sigarette, alle pipe, ai sigari, ai prodotti a tabacco riscaldato e include anche le sigarette elettroniche, prevedendo una sanzione di 100 euro per chi non la rispetta, salvo che la decisione di fumare non avvenga con il consenso dei vicini.
Per il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, si tratta di “una questione culturale e di rispetto”, che avvicina la città piemontese ad altre realtà italiane e internazionali, che hanno limitato fortemente le possibilità di fumo all’aperto e in luoghi pubblici.
In Italia, ad esempio, la prima grande città a prendere una posizione netta nei confronti del fumo è stata Milano, dove addirittura lo “spazio antifumo” attorno alle persone è di dieci metri. Ma anche Modena e Bibione hanno introdotto provvedimenti simili, così come molte località balneari che hanno vietato il fumo in spiaggia.
Una maggior tutela sia verso la salute del cittadino sia per l’ambiente: il problema dei mozziconi abbandonati non è solo una questione di decoro pubblico e immondizia, ma impatta notevolmente sull’ambiente naturale, producendo una quantità di fibroplastiche talmente elevata da essere paragonata a quella prodotta dalle lavatrici domestiche di tutto il mondo.
Se ci spostiamo oltreoceano, da anni a New York e in Giappone vige il divieto di fumo per strada. In Messico, il divieto si estende ai parchi, alle spiagge e ai luoghi pubblici.
Ma questi provvedimenti locali, come quello di Torino, possono efficacemente contrastare il problema della dipendenza da fumo?
Negli ultimi anni, abbiamo assistito increduli a un’inversione di tendenza nel numero di fumatori in Italia e nel mondo: per la prima volta infatti, i numeri di fumatori adulti, invece che decrescere, sono sostanzialmente rimasti invariati, o, peggio, a seconda delle aree geografiche, sono aumentati.
I danni per la salute dovuti al fumo, sia diretto che passivo, dovrebbero invitare a riflettere sul danno enorme causato dalle sostanze prodotte dalla combustione delle sigarette: eppure molti continuano a farlo, complici anche le enormi difficoltà legate allo smettere.
Provvedimenti locali di questi genere spingono sicuramente a una maggiore attenzione verso il prossimo e verso la propria salute, ma queste norme a corto raggio poco possono fare contro una situazione il cui approccio andrebbe radicalmente modificato.
I provvedimenti restrittivi o fortemente limitanti, che all’inizio della cosiddetta epidemia da fumo, ai tempi della legge Sirchia per intenderci, sembravano effettivamente aver post un freno al dilagare di un’abitudine mortale, in realtà hanno lentamente perso la presa sulla popolazione.
Ecco perché l’avvento dei prodotti elettronici ha fornito una valida alternativa per i fumatori, soprattutto quelli non intenzionati a smettere o che non riuscivano a farlo. Le ricerche dimostrano infatti che, proprio in virtù della mancanza di combustione, le sostanze prodotte dai dispositivi di nuova generazione espongono a un rischio notevolmente inferiore per la salute.
Certo, bisogna ancor investire nella ricerca scientifica per investigare gli effetti a lungo termine dello svapo esclusivo in soggetti senza una pregressa storia di fumo. Ma le basi per un cambiamento ci sono.
Norme locali restrittive, come quella di Torino, dovrebbero però comprendere approcci più strutturati.
In primis, riconoscere una differenza tra prodotti che sfruttano il principio della combustione e gli altri che invece sfruttano il riscaldamento del tabacco a temperature inferiori o il consumo sotto forma di vapore. Non per quanto i divieti di utilizzo in pubblico, ma nell’ottica di un cambiamento nei percorsi assistenziali dedicati alla cessazione.
In secondo luogo, investire in programmi di educazione e prevenzione che impediscano l’accesso a tali prodotti ai più giovani, la categoria più a rischio, e che permettano agli adulti fumatori resistenti una via di uscita, riducendo le conseguenze dannose del fumo di sigaretta.
La lotta di contrasto al fumo deve essere portata avanti in maniera unitaria, auspicandosi che quello di Torino non sia un esempio isolato, ma possa diventare parte di un progetto nazionale, che possa addirittura comprendere i principi della riduzione del danno, per raggiungere davvero l’obiettivo di una cessazione totale dal fumo.