mercoledì, Gennaio 15, 2025
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Il prof. Polosa interviene su Filter con un commento sullo studio “Vaping e BPCO”

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bpco ecig polosa

Nei giorni scorsi, avevamo pubblicato i risultati del più lungo follow up realizzato su pazienti fumatori affetti da BPCO (broncopneumopatia cronico ostruttiva) e i benefici in termini di salute derivanti dall’utilizzo delle sigarette elettroniche. In merito alla ricerca, il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR, ha rilasciato un’intervista alla rivista internazionale Filter, di cui pubblichiamo di seguito la versione integrale.

Ricordiamo che la ricerca ha evidenziato che i pazienti che sono passati al vaping infatti hanno ridotto di circa il 50% le esacerbazioni della malattia e hanno migliorato significativamente la propria salute cardio-respiratoria.

Per quali ragioni i fumatori con BPCO non rispondono con successo ai programmi di cessazione del fumo?

Secondo la mia esperienza clinica, dato questo abbastanza sorprendente, la maggior parte dei fumatori con BPCO non ha una buona ragione per smettere. Alla loro età e con la condizione debilitante in cui si trovano, non pensano di aver altro in cui sperare se non una buona sigaretta!  Sono ben consapevoli, infatti, che fumare non fa bene alla loro patologia, ma ciò che ne ricavano sembra essere di gran lunga migliore di qualsiasi beneficio in termini di salute che potrebbero avere smettendo di fumare.


Perché è cosi importante condurre uno studio sulle sigarette elettroniche e sui fumatori affetti da BPCO?

Per tutti i fumatori con BPCO che non desiderano o non riescono a smettere, fornire un’alternativa  allo scenario “smettere o morire” è un’opzione da considerare assolutamente. Con l’avvento dei dispositivi a rilascio di nicotina privi di combustione che posso replicare l’esperienza del fumare, abbiamo avvertito la necessità di studiarne gli effetti a livello di salute polmonare, sopratutto su soggetti vulnerabili con una pregressa patologia polmonare. Le sigarette elettroniche possono essere un rimedio per la BPCO e questo è importante da sapere per i medici, per le persone affette da tale patologia e chi se ne prende cura. Inutile sottolineare che le informazioni, supportate da prove, circa il risvolto positivo in termini di salute delle sigarette elettroniche sulla BPCO, possono rivelarsi una risorsa preziosa e potente per il dialogo medico-paziente.


Quali sono le scoperte più importanti di questo studio? Si può rilevare una “inversione del danno”?

Il risultato più rimarchevole dello studio guarda il fatto che i pazienti con BPCO possono davvero astenersi dal fumare per un lasso di tempo indeterminato se viene loro fornito un sostituto adeguato. L’astinenza dal fumo genera dei benefici in termini di salute su questa categoria di pazienti, ad esempio una maggiore tolleranza all’esercizio, una qualità generale della vita migliore e una ridotta esacerbazione respiratori (e di conseguenza ridotta necessità di ricovero ospedaliero).

Lo studio dimostra che il concetto di “inversione del danno” è raggiungibile, aggiungendo che, una volta raggiunto tale stato, può essere mantenuto per anni.

Stiamo dicendo al mondo che è possibile raggiungere dei sostanziali miglioramenti della salute quando si sostituiscono le mortali sigarette convenzionali con i prodotti da svapo. I pazienti con BPCO hanno sperimentato tali miglioramenti senza soffrire per il desiderio di una sigaretta e senza sperimentare i sintomi dell’astinenza, il tutto senza costi aggiuntivi pe rio sistema sanitario nazionale. 

Il giusnaturalismo del controllo del tabacco

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framework convention on tobacco control

Creare una legge può essere semplicemente inteso come una “regolamentazione di una situazione, di una realtà”. Dare, però, volto a una norma significa valutare non solo la situazione da regolare, ma le eventuali applicazioni che tale legge avrà. E pure l’interpretazione stessa della legge viene regolata dal diritto: non può, infatti, avere senso diverso da quello espresso dalle parole e dalle loro connessioni e non può prescindere dall’idea del legislatore.

Alla base della legge esiste un’idea principe, un assioma, un principio generale che plasma la realtà, delineando una norma di condotta generale.

Principi cardine che ritroviamo anche nelle politiche di controllo del tabacco: è il caso dell’articolo 5.3 della Framework Convention On Tobacco Control, approvata dall’OMS, che recita testualmente: “Nello stabilire ed attuare politiche di sanità pubblica in relazione al controllo del tabacco, i contraenti devono agire per proteggere tali politiche da interessi commerciali e di altra natura dell’industria del tabacco, in accordo con la legislazione nazionale”.

Una enunciazione che nasce per mettere in guardia dalle influenze indebite di un’industria secolare, potente: un modo per dire “so che esisti e che ci sei, e ti teniamo d’occhio”. Mettendo per iscritto che sappiamo esserci delle modalità attraverso le quali l’industria del tabacco può influenzare le politiche di sanità pubblica, implicitamente dichiariamo tali influenze non possibili.

Un articolo implementato dal 2008 dalle Linee Guida per l’attuazione dell’articolo 5.3:una serie di quattro principi guida, il primo dei quali viene usato ad oggi come fondamento delle politiche degli attivisti anti tabacco: “Esiste un fondamentale ed inconciliabile conflitto tra gli interessi dell’industria del tabacco e gli interessi di salute pubblica”.

Non un principio guida che regola una situazione, ma un vero e proprio assioma: si riconosce che, qualunque cosa succeda, qualunque possa essere il cambiamento operato dall’industria del tabacco, non sarà mai a beneficio della salute pubblica, ergo sarà sempre da contrastare.

Et voilà, un tranello giusnaturalista moderno in piena regola: l’idea che alla base delle politiche di controllo del tabacco esista un principio cardine inconciliabile con qualsiasi norma del diritto positivo, ovvero che l’industria del tabacco in qualunque forma rappresenti il nemico. 

Un assioma che ci spiega Clive Bates nel suo articolo pubblicato su Tobacco Reporter, dove vengono eviscerate le implicazioni del “principio inconciliabile”.

Innanzitutto, l’esperienza svedese da sola contrasta il principio: qui, l’utilizzo di snus ha portato a tassi di fumo molto bassi, con conseguente diminuizione rispetto  alla media europea delle patologie fumo correlate. Ergo, esistono prove che eventuali declinazione dell’industria del tabacco agiscano come strumenti di riduzione del danno.

In secondo luogo, il principio influenza gli obiettivi delle politiche di controllo del tabacco. L’avvento del vaping ha segnato un nuovo corso delle politiche di controllo del tabacco: il concetto di riduzione del danno ha dato concrete possibilità a chi non riusciva o non poteva smettere di fumare di avere una possibilità concreta di abbandonare un vizio mortale. 

Terzo, il principio distorce le evidenze scientifiche che provengono dalla ricerca. Gran parte dei ricercatori e degli scienziati anti tabacco ignorano i dati che supportano l’apporto benefico dei dispositivi a rischio ridotto, accomunando gli effetti del vaping a quelli del fumo di sigaretta.

Quarto, l’opposizione violenta a qualsiasi forma di innovazione. Mentre gli attivisti anti tabacco combattono ferocemente il mondo del vaping, influenzando le decisioni in materia di molti stati, alcuni dei quali ad oggi vietano produzione e commercializzazione di sigarette elettroniche, le sigarette convenzionali continuano ad essere vendute ed essere causa di morte. Un paradosso in piena regola: invece di fare fronte comune, combattiamo per qualcosa, le ecig, di cui abbiamo dati scientifici che ne dimostrano l’efficacia e la relativa sicurezza, invece di contrastare il fumo convenzionale, di cui consociamo le conseguenze mortali.

Clive Bates chiude sottolineando che dovremmo adottare un altro principio guida, ben più importante: ridurre i danni nella misura maggiore e il più rapidamente possibile. Bates scrive: “Il principio inconciliabile è una reliquia del passato e fallisce il check della realtà: è il motivo per cui gli attivisti del controllo del tabacco rischiano ad oggi di fare più male che bene”.

Polosa e Tomaselli designati editori di una importante rivista per la ricerca sul Covid-19

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SI INVITANO I RICERCATORI DELL’ATENEO AD INVIARE CONTRIBUTI SCIENTIFICI SUL TEMA “COVID-19”

Catania, 9 Novembre 2020 – La prestigiosa rivista internazionale “International Journal of Environmental Research and Public Health” ha invitato il Prof. Riccardo Polosa e la Prof.ssa Venera Tomaselli del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania a coordinare in qualità di Editori lo Special Issue della rivista sul COVID-19.

I docenti etnei si occuperanno di vagliare tutto il materiale che verrà loro inviato da autori e ricercatori di tutto il mondo per realizzare la prima selezione internazionale di studi approfonditi sulla pandemia che sta cambiando l’assetto globale del sistema sanitario. Un incarico di grande rilevanza che sottolinea la forza della ricerca scientifica che, in un momento così delicato come quello che stiamo vivendo, deve essere basata sulla collaborazione, sulla condivisione e sulla specializzazione dei vari ambiti di appartenenza scientifica.

Questo nuovo Special Issue riguarderà tutte le ricerche sul Covid-19, dall’epidemiologia fino alle risposte in materia di salute pubblica, spaziando tra tematiche quali la distribuzione geospaziale della malattia, le possibili misure di controllo della patologia, la valutazione dei provvedimenti a livello regionale e nazionale e le decisioni in materia di salute pubblica che hanno arginato la diffusione dell’epidemia.

“Sono certo che questa importante avventura editoriale contribuirà a fare chiarezza su punti di fondamentale importanza per i ricercatori di tutto il mondo. Il nostro impegno sarà quello di selezionare e avviare il più velocemente possibile alla pubblicazione i contributi con maggiore impatto sugli aspetti etici, organizzativi, e clinici del COVID-19” – ha commentato il prof. Polosa.

“Il nostro ateneo è coinvolto in un lavoro editoriale di livello internazionale che auguriamo possa contribuire al controllo di ipotesi sulle implicazioni cliniche, epidemiologiche e sociali collegate all’impatto dell’evento pandemico COVID-19 sulla salute pubblica” – ha aggiunto la prof.ssa Tomaselli.

Soddisfazione anche da parte del prof. Giovanni Li Volti, direttore del CoEHAR per questo grande risultato raggiunto dal Centro di Ricerca catanese che ancora una volta dimostra la sua grande capacità di internazionalizzare attività, progetti e risultati, nell’obiettivo comune di creare percorsi eccellenti per i giovani ricercatori siciliani a cui chiede con forza: “Mandateci i vostri studi, aiutateci a trovare le risposte più concrete. Scriviamo insieme il futuro del sistema sanitario mondiale”.

Per ulteriori informazioni, clicca qui.

BPCO e sigaretta elettronica: risponde il Prof. Polosa

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BPCO ed ECIG

I ricercatori del CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania) hanno appena reso noti i risultati del più lungo follow up mai realizzato su pazienti fumatori affetti da BPCO, la broncopneumopatia cronica ostruttiva. Secondo lo studio COPD smokers who switched to E-cigarettes: health outcomes at 5-year follow up”, l’utilizzo regolare delle sigarette elettroniche comporta dei benefici in termini di salute per tutti quei pazienti fumatori affetti di BPCO, che non vogliono o non riescono a smettere di fumare.

Il fondatore del CoEHAR, Riccardo Polosa, autore dello studio, spiega così i risultati:

Prof. Riccardo Polosa

Nonostante la patologia di cui soffrono, molti pazienti affetti da BPCO non vogliono, o non riescono, a smettere di fumare. Abbandonare le sigarette convenzionali significherebbe migliorare, e di molto, il loro stato di salute generale, ma è una scelta che fanno fatica a compiere. Con la disponibilità sul mercato dei nuovi dispositivi a rilascio di nicotina privi di combustione, abbiamo voluto indagare gli outcomes a livello i salute in pazienti affetti da pregresse patologie polmonari, in questo caso la BPCO. I risultati dello studio dimostrano che questi soggetti possono astenersi dal fumare se viene loro fornita una valida alternativa, la sigaretta elettronica, uno strumento che mima l”esperienza del fumo, ma garantendo al contempo miglioramenti significativi dello stato di salute generale”.

LO STUDIO 

La BPCO fa parte di un gruppo di patologie polmonari legate al fumo che causano difficoltà respiratorie, enfisema e bronchite cronica. Lo studio ha individuato, grazie all’analisi delle cartelle cliniche di quattro diversi ospedali italiani, un gruppo di pazienti affetti da BPCO che utilizzano prodotti per il vaping. Tali soggetti sono stati seguiti attraverso un percorso di visite ambulatoriali annuali per un totale di cinque anni. 

Alla fine del follow up, i ricercatori avevano a disposizione i dati di 39 pazienti affetti da BPCO, 30 nel gruppo di pazienti con BPCO che utilizzavano le sigarette elettroniche e 19 in quello dei fumatori abituali. Sebbene intraprendere percorsi di smoking cessation dovrebbe rappresentare una priorità per i soggetti affetti da BPCO, i tassi di ricaduta in tali pazienti fumatori è molto alto e le terapie note per smettere di fumare sembravano avere effetti limitati.

I fumatori affetti da BPCO infatti sperimentano difficoltà nel sospendere completamente l’uso di nicotina e possono aver bisogno di un trattamento o di un uso prolungato di nicotina per avere un’astinenza continuata dal fumo. 

I RISULTATI

Nello studio, i ricercatori del CoEHAR hanno osservato una riduzione prolungata nel tempo del consumo giornaliero di sigarette nei pazienti affetti da BPCO che facevano uso, contemporaneamente, anche di prodotti per il vaping: è stata rilevata una riduzione complessiva di circa l’80% rispetto alla normalità

Ma la novità principale riguarda il fatto che i pazienti con BPCO che si sono astenuti dal fumare, passando alle sigarette elettroniche, hanno riportato miglioramenti a livello di salute clinicamente rilevanti. 

I pazienti che sono passati al vaping infatti hanno ridotto di circa il 50% le esacerbazioni della malattia e hanno migliorato significativamente la propria salute cardio-respiratoria rispetto al gruppo di controllo di pazienti affetti da BPCO che hanno continuato a fumare le sigarette convenzionali. 

Questi preziosi risultati spiegano come per i soggetti affetti da BPCO che non riescono a smettere di fumare da soli, passare a sostituti meno dannosi significa ridurre la sofferenza provocata dalla malattia. I medici dovrebbero considerare tutte le opzioni possibili, optando per quelle che hanno la maggior probabilità di interrompere l’esposizione al fumo di tabacco, come le ecig. 

Bandire il vaping in India: l’esperimento che non sta funzionando

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india vaping

Ci sono nazioni nel mondo in cui le sigarette elettroniche e i relativi prodotti per il vaping sono dichiarati “fuorilegge”: è il caso dell’India, che a partire dal 2020, ha vietato la produzione, la commercializzazione, l’importazione, lo stoccaggio, la vendita e la pubblicità relativa alle sigarette elettroniche.

Violare la legge può costare caro: multe di circa 1400 dollari e fino ad un anno di reclusione per chi viola la disposizione per la prima volta. Sanzioni che lievitano se il fatto viene reiterato. La legge ha inoltre valenza retroattiva: lo stoccaggio di prodotti per il vaping, anche se per utilizzo personale e anche se avvenuto prima dell’entrata in vigore del bando, non è consentito.

Sanzioni che si sono ulteriormente aggravate nel febbraio 2020, quando l’India ha deciso di vietare il trasporto di prodotti legati al vaping sugli aerei: andare in vacanza a Londra e tornare con una scorta personale è diventato illegale.

Ma la decisione può funzionare?

L’india è un paese dove, dati del 2018 alla mano, risiede il 12% dei fumatori totali mondiali, circa 120 milioni di fumatori. Se consideriamo invece il tobacco assunto non solo sotto forma dei sigarette, ma inteso anche come bidis (tabacco avvolto in foglie) o gutkha (tabacco da masticare), la percentuale di utilizzatori indiani di tabacco sale addirittura al 29%, rendono l’India il secondo consumatore dopo la Cina.

Le conseguenze della decisione governativa non si sono fatte attendere: come spesso in presenza di un bando, a trarne vantaggio è stato il mercato nero, dove la compravendita di prodotti illegali ha auto un’enorme crescita. Prodotti che, inutile specificarlo, non devono centrare alcun tipo di standard di produzione e che non sono sottosti ad alcun controllo.

Secondo un articolo della rivista Filter, che ha avuto la possibilità di intervistare diversi svapatori, la decisione del governo, oltre alla sopracitata conseguenza di implementare il mercato nero, ha avuto conseguenze peggiori: in primis, molti tabagisti sono tornati a fumare le sigarette convenzionali, spaventati sia dalle ritorsioni legali sia dalla difficoltà di reperire i prodotti.

In secondo luogo la ricerca di settore ha subito un brusco rallentamento, possiamo nei dire che è stata fermata del tutto: senza ricerca, mancano i dati per convincere le autorità a fare marcia indietro e, sopratutto, senza evidenze scientifiche non vi è dibattito, continuando così ad alimentare una visione retrograda in cui lo “smettere di fumare” viene relegato alla semplice decisione personale, e non a un complesso insieme di abitudini e dipendenza difficile da spezzare. 

In ultimo, la decisione ha stigmatizzato l’atto dello svapare, impedendo a molti sia di svapare per proprio conto, sia, soprattutto, di prendere in considerazione il vaping come metodo di cessazione.

Una situazione, quella indiana, che risente moltissimo delle influenze americane, dove il vaping è attualmente osteggiato e oggetto di restrizioni diverse nei vari stati e dove l’attenzione posta sull’eventuale dipendenza giovanile viene usata come una delle argomentazioni più forti.

L’approccio al vaping degli USA non può funzionare in India, una nazione in cui il vaping è un fenomeno relativamente nuovo, estraneo alle politicizzazione tipiche americane. Un paese che presenta tassi di utilizzo del tabacco piuttosto alti e le terapie sostitutive a base di nicotina sono piuttosto scarse, soprattutto per la popolazione delle aree più rurali.

Soluzioni che, sul già tentennante sistema sanitario indiano, hanno una rilevanza e un impatto nettamente maggiore, escludendo di fatto molti cittadini da poter attuare strategie salvavita se fumatori.

Chiudere il dibattito scientifico significa privare i fumatori indiani della possibilità di poter scegliere un’alternativa al fumo tradizionale: il mondo del vaping, purtroppo, a livello mondiale, necessita di una comunicazione diversa, che possa veramente far trasparire il messaggio di uno strumento che può cambiare radicalmente l’approccio alle strategie di cessazione.

Vivere vicino al verde aiuta i fumatori a smettere di fumare

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Verde

Secondo una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Social Science & Medicine, vivere vicino al verde aiuta i fumatori a smettere di fumare.

Questo il recente risultato di un team di ricercatori che hanno utilizzato i dati raccolti attraverso l’Health Survey for England (HSE), condotto ogni anno per conto dell’Ufficio per le statistiche nazionali del Regno Unito. Il seguente sondaggio prevedeva di raccogliere informazioni relative alla salute e al comportamento relativo alla salute delle persone che vivono in abitazioni private in Inghilterra. Nel caso specifico, i ricercatori hanno esaminato le risposte di oltre 8.000 persone adulte.

Tra gli intervistati, poco meno di un quinto (19%) si è descritto come fumatori abituali, mentre quasi la metà (45%) ha affermato di aver fumato regolarmente per un determinato periodo a un certo punto della propria vita.

I ricercatori hanno reso noto che le persone che vivono in aree con un’elevata percentuale di spazio verde hanno il 20% in meno di probabilità di essere dei fumatori abituali rispetto a coloro che vivono in aree meno verdi. Mentre le persone che hanno fumato durante la loro vita, quelle che abitano in quartieri “più verdi” hanno fino al 12% in più di probabilità di smettere di fumare e riuscirci.

La ricerca che è stata condotta da psicologi dell’Università di Plymouth, dell’Università di Exeter e dell’Università di Vienna vuole dimostrare che avere la possibilità di accedere facilmente a spazi all’aperto, comporta una riduzione del desiderio di fare uso di alcol, fumo e cibi malsani.

“Questo studio è il primo a indagare l’associazione tra spazio verde e comportamenti legati al fumo in Inghilterra. I suoi risultati ci invitano a supportare la necessità di proteggere e investire nelle risorse naturali, sia nelle comunità urbane che in quelle più rurali, al fine di massimizzare i benefici per la salute pubblica di tutti i cittadini. Se i nostri risultati fossero confermati da un ulteriore lavoro, potrebbero essere prescritti degli interventi basati sulla natura e che aiutano le persone a smettere di fumare”, ha dichiarato Leanne Martin, dell’Università di Plymouth, ricercatrice e autrice principale dello studio.

Tra gli autori, anche Mathew White, scienziato presso l’Università di Vienna e professore presso l’Università di Exeter, ha aggiunto: “Il fumo rimane un problema di salute pubblica globale. I governi di tutto il mondo spendono miliardi ogni anno per cercare di affrontarlo, sia nel tentativo di migliorare la salute pubblica che di ridurre la pressione sui servizi sanitari. Questo studio sottolinea la necessità di preservare gli spazi verdi esistenti ed espandere lo sviluppo di nuovi”.

La prova considerevole degli spazi naturali associati alla riduzione dello stress e dei comportamenti malsani come il fumo, fa sì che si possa considerare l’idea di incrementare gli spazi verdi nelle aree cittadine, in quanto valido strumento per smettere di fumare.

L’importanza degli aromi per i vapers

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Da un recente sondaggio europeo, condotto a Bruxelles dall’associazione Independent European Vape Alliance (IEVA), si apprende che l’80% dei fumatori che sono passati alle ecig ha smesso completamente di fumare e che il 65% degli svapatori utilizza aromi fruttati o liquidi dolci. A partecipare al sondaggio, 3.300 vapers europei.

L’indagine mette in evidenza l’importanza di questo valido strumento alternativo rappresentato dalle sigarette elettroniche. L’81% degli svapatori ha completamente smesso di fumare tabacco e il 12% ha ridotto il fumo delle sigarette tradizionali grazie all’aiuto delle ecig. L’86% dei partecipanti al sondaggio pensa che le sigarette elettroniche siano meno dannose delle sigarette tradizionali e il 2% ritiene che le sigarette elettroniche siano uguali o più dannose rispetto alle sigarette combustibili.

Qual è l’importanza degli aromi?

La varietà degli aromi è sicuramente uno dei motivi più importanti per cui gli svapatori utilizzano le sigarette elettroniche. Il 40% usa liquidi aromatizzati alla frutta e il 25% preferisce, invece, sapori più dolci. Un terzo dei vapers sceglie liquidi aromatizzati al tabacco (35%).

L’associazione IEVA (European Independent Vape Alliance) ha chiesto ai partecipanti al sondaggio come reagirebbero se tutti gli aromi liquidi, eccetto quelli al tabacco, fossero vietati. Dai risultati appresi, solo il 20% degli svapatori passerebbe ai gusti del tabacco. Un divieto simile comporterebbe un effetto negativo, difatti il 31% ha affermato che avrebbe acquistato aromi liquidi sul mercato nero. Il 9% ricomincerebbe a fumare.

“Il nostro sondaggio conferma la ricerca precedente che sosteneva che i sapori delle sigarette elettroniche sono cruciali per i fumatori adulti. Un divieto di aromi deve essere evitato a tutti i costi, perché porterebbe molti vapers ad acquistare prodotti non regolamentati sul mercato nero o addirittura a ricominciare a fumare. Questo risultato metterebbe in pericolo la grande opportunità che hanno molti fumatori, ovvero quella di smettere di fumare con l’aiuto della sigaretta elettronica”, ha dichiarato Dustin Dahlmann, Presidente di IEVA.

Un rapporto condotto nel Regno Unito per conto di Public Health England ha dimostrato che le e-cig sono per il 95% meno dannose rispetto alle sigarette convenzionali e possono contribuire a salvare migliaia di vite ogni anno.

SHARPER 2020: La Notte dei Ricercatori anche per il CoEHAR

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Anche la Notte Europea dei Ricercatori si adatta alla pandemia. L’appuntamento annuale, promosso dalla Commissione Europea, quest’anno si svolgerà online il 27 novembre 2020 e ancora una volta il CoEHAR – Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania e la LIAF Lega Italiana Anti Fumo saranno tra i protagonisti dell’evento.

Lo sviluppo della ricerca scientifica e l’implementazione dei suoi risultati sono al centro della questione mondiale e mai come in questi mesi è stato così importante sostenere l’attività dei ricercatori di tutto il mondo.

SHARPER (SHAring Researchers’ Passions for Evidences and Resilience), è uno dei sette progetti sostenuti dalla Commissione Europea e coordinato dalla società Psiquadro, che ha l’obiettivo di coinvolgere i cittadini nella scoperta del mestiere di ricercatore e del ruolo che i ricercatori hanno nel costruire il futuro della società attraverso l’indagine.

L’edizione 2020 proporrà attività che legano le azioni della ricerca ai Sustainable Development Goals. A causa dell’emergenza della pandemia, troveremo in primo piano temi molto attuali come il diritto alla salute e un’educazione di qualità per tutti. Le 13 città italiane coinvolte all’interno del progetto SHARPER sono: Catania, Ancona, Cagliari, Camerino, L’Aquila, Macerata, Nuoro, Palermo, Pavia, Perugia, Terni, Torino e Trieste.

Le attività dell’edizione 2020 saranno promosse attraverso una serie di formati online, dal live streaming al webinar, dal virtual gaming alla citizen science a distanza, dai virtual tour alle performance artistiche, fino a nuove forme di dialogo tra ricercatori e mondo della scuola, coinvolgendo oltre 500 ricercatori. L’utilizzo di nuove tecnologie e linguaggi innovativi porteranno a un rinnovamento che sarà anche l’occasione per potenziare la dimensione di rete del progetto.

L’evento che negli ultimi anni ha coinvolto milioni di visitatori, quest’anno sarà a tutti gli effetti digitale e avrà una durata di 24 ore.

Il CoEHAR (Centro di Ricerca per la Riduzione del danno da fumo ) dell’Università degli Studi di Catania, sarà presente con un talk dal titolo: “Tra indipendenza e dipendenza: Harm Reduction”.

Quali sono gli strumenti più efficaci per smettere di fumare secondo gli studi più recenti? E quali sono i progetti di internazionalizzazione che il CoEHAR sta conducendo insieme ad altri 100 ricercatori nel mondo?

Durante l’evento, la giornalista Valeria Nicolosi intervisterà il prof. Pasquale Caponnetto, coordinatore del Centro per la Cura e Prevenzione al Tabagismo del Policlinico Vittorio Emanuele di Catania e ricercatore del CoEHAR.

Al termine della video intervista il CPCT rimarrà disponibile per info e consulenza gratuita dalle ore 10 alle ore 13. Gli utenti potranno contattare il numero 0953781537 e ricevere assistenza da parte dei ricercatori del CoEHAR. 

Oltre all’Università di Catania, tra gli organizzatori locali sono coinvolti cinque enti di ricerca: il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Centro Siciliano di Fisica Nucleare e di Struttura della Materia (CSFNSM), l’Istituto Nazionale di Astrofisica, con l’Osservatorio Astrofisico di Catania, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, presente con i Laboratori Nazionali del Sud e con la Sezione INFN di Catania, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, presente con la Sezione di Catania – Osservatorio Etneo. Tra i partner dell’edizione 2020, presente il Comune di Catania, che quest’anno si è unito agli organizzatore dell’iniziativa, la Ferrovia Circumetnea (FCE), l’associazione EPS-Young Mind Sezione di Catania e l’associazione Officine Culturali.

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Rimedi naturali per i polmoni

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rimedi

Mai come quest’anno la vaccinazione è considerata importante: per il controllo dell’influenza e per evitare che questi contagi si sovrappongono alla possibile seconda ondata del coronavirus.

Attraverso i polmoni inspiriamo ed espiriamo immettendo ossigeno nel sangue, inoltre regolano la temperatura corporea e proteggono il cuore. Durante il periodo freddo dell’anno, le vie respiratorie sono esposte al rischio di infiammazioni. Depurandoci, diminuiamo notevolmente il rischio di ammalarci.

Ma quali sono i rimedi naturali per depurare i polmoni? Ecco alcuni consigli:

Eucalipto, una delle piante più efficaci contro le infiammazioni bronchiali e polmonari. Possiede un’azione antisettica e balsamica che facilita l’espulsione del muco e calma la tosse, consigliato soprattutto se si soffre d’asma.

Lavanda, grazie all’olio essenziale dei suoi fiori, liberano polmoni e bronchi dalle tossine e prevengono la secrezione del catarro. È un calmante naturale da usare se si è stressati.

Menta, le sue foglie disinfiammano le vie respiratorie disintossicando i polmoni, ottimo rimedio per le cefalee ed è anche considerato un buon digestivo.

Timo, con le sue foglie contenenti il timolo si ottiene un potente antisettico delle vie respiratorie, adatto in caso di laringiti, faringiti, tosse e catarro. È utile soprattutto quando serve un efficace azione antibatterica e sedativa della tosse. Una tisana disintossicante è molto utile per ripulire i polmoni dalle tossine accumulate.

Ecco le dosi necessarie alla preparazione di una tazza:

  • Eucalipto, foglie 15 g.
  • Timo, foglie 15 g.
  • Lavanda, fiori 10 g.
  • Menta, foglie 10 g.

Procedimento: mettere un cucchiaio del mix di erbe in una teiera, versare sopra 200 ml di acqua bollente e lasciare in infusione per circa 10 min. Quindi filtrare e bere la tisana al naturale, senza dolcificanti. Bere 2-3 tazze al giorno per almeno 10 giorni, meglio se lontano dai pasti.

Infine il consiglio più importante è quello di non “appesantire” i nostri polmoni con il fumo, causa di molte malattie a carico dall’apparato respiratorio, basta provarci e tirare su un bel respiro!

Medici ed ecig: in quanti consigliano i dispositivi a rischio ridotto?

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medici ed ecig

Il mondo della smoking cessation comprende soluzioni diverse, nate con il comune scopo di aiutare i fumatori ad uscire per sempre dalla porta del tabagismo. Il Ministero della Salute indica una serie di terapie efficaci per smettere di fumare, prima tra queste la consulenza professionale dei centri antifumo che, sulla base delle singole esigenze, possono consigliare le terapie e gli strumenti più efficaci per smettere di fumare (tra questi ci sono i farmaci, i prodotti sostitutivi della nicotina e anche la sigaretta elettronica).

Nell’ultimo decennio, l’avvento sul mercato dei dispositivi a rischio ridotto ha riscontrato un enorme successo e ha dimostrato (come mostrano anche diversi studi condotti presso il CPCT del Policlinico Vittorio Emanuele di Catania) grande efficacia di risultati, aiutando migliaia di persone a smettere di fumare definitivamente. 

Ma come si approcciano i medici e gli operatori sanitari alla sigaretta elettronica?

Molto spesso, sono proprio i medici di base che consigliano ai propri pazienti di smettere, soprattutto se il paziente Riporta patologie cliniche che necessitano l’abbandono dell’abitudine per prevenire aggravamenti.

Una recente sondaggio, “Tobacco Harm Reduction: In Pursuit Of Awareness And Training For Health Care Professionals”, ha voluto indagare le opinioni dei medici e degli operatori sanitari sulle strategie di riduzione del danno e, nello specifico, sull’utilizzo o meno della sigaretta elettronica nei percorsi di cessazione. 

Per meglio inquadrare l’argomento, abbiamo intervistato il Dr. Fabio Beatrice, Direttore del Centro Antifumo San Giovanni Bosco di Torino, interpellato dallaivista americana Journal of Community Medicine & Public Health Caresull’argomento.

Buongiorno dr. Beatrice, ci racconta come  nasce l’idea del sondaggio?

Buongiorno, mi è stato richiesto un parere sull’argomento da una rivista americana, con l’obiettivo di chiarire al pubblico americano se la tossicità residuale del fumo elettronico fosse un problema o un’opportunità. L’idea nostra è che, se correttamente applicato, rappresenti un’opportunità, poiché l’alternativa è che i fumatori continuino a fumare e rimanere cronicamente in balia della loro dipendenza, aggravata dal catrame e dai componenti tossici della sigaretta convenzionale.

Dall’articolo emerge che le percentuali di medici che forniscono informazioni in materia di cessazione sulla sigaretta elettronica sono solo il 12%: questo perché c’è confusione o perché vi è una generale mancanza di informazione?

Innanzitutto vi è un deficit di informazione e un’informazione confusa, perché si sentono suonare diverse campane: le campane istituzionali suonano infatti in maniera contraria. Se andiamo a valutare ciò che succede sul campo, però, gli addetti hai lavori hanno un problema, ovvero la stragrande maggioranza di insuccessi di trattamento al fine di cessazione. I

Il problema nasce proprio dall’insuccesso delle linee guida istituzionali: i fumatori che si rivolgono ai centri antifumo sono pochissimi, parliamo di 10 mila fumatori l’anno su un totale di 12 milioni di fumatori. Di questi, il 55-60%, anche aiutati, anche con i farmaci, nell’ottemperanza delle linee guida, non riesce a smettere. Quindi, abbiamo una quantità elevata di persone abbandonate a loro stesse, non riuscendo infatti a lavare nemmeno il 30-40% di coloro che fumano. Dunque questo è l’insuccesso delle linee guida: tutte quelle indicazioni funzionano sul piano teorico, ma non su quello pratico.

In secondo luogo, la sigarett elettronica non nasce per la cessazione: l’idea alla base della sua creazione era quella di cercare di ridurre i danni derivati dalla combustione, creando un dispositivo alternativo e meno dannoso. 

Tutti i lavori che mettono al centro della questione la tossicità, non comprendono che non stiamo parlando di un farmaco, ma di un prodotto a supporto di coloro che non riescono a smettere. Se un prodotto mi riduce il rischiodel 50%, è già un successo. Le ecig lo riducono addirittura del 90% quasi. E dunque dove sta il problema? Nel continuare una dipendenza? Ma tanto continuerebbe comunque perché finché gli stati produrranno sigarette avremo comunque una dipendenza sdoganata a livello sociale.

La ricerca

Tre società scientifiche italiane hanno condotto una serie di sondaggi tra gli operatori del sistema sanitario, medici di base, angiologi, pneuomologi ed operatori sanitari, per valutare la loro opinione sul fumo elettronico. 

Molto spesso, i medici rivolgono ai pazienti consigli generici, contenti semplicemente un’indicazione a smettere di fumare e consigliando percorsi o strategie che ricalcano il percorso delle linee guida internazionali. Linee guida che, come rimarcato anche dal Dr. Beatrice, hanno dimostrato la propria inefficacia.

Dati alla mano, infatti, mentre il numero di fumatori elettronici è in ascesa, rimane altrettanto alto il numero di morti che ogni anno si registrano a causa di patologie fumo-correlate.

Secondo i sondaggi in questione, Il 7% degli intervistati ha dichiarato di essere un fumatore, il 70% un non-fumatore mentre il 20% un ex-fumatore.

Nell’approccio medico paziente, il 76% degli intervistati consiglia ai pazienti di smettere completamente, ma solo il 9% si informa se il soggetto è esposto al fumo passivo che, ormai si sa, essere pericoloso quanto il fumo diretto.

Il dato che incuriosisce, però, riguarda le sigarette elettroniche: solo il 12% degli intervistati le consiglia come strumento di cessazione. Nonostante molti si dichiarino favorevoli a una maggior informazione in materia, le ecig non godono della popolarità che hanno, ad esempio, in Inghilterra dove, invece, i medici sono invitati a consigliarle nell’ambito dei percorsi di smoking cessation.

Sostenere la ricerca scientifica di settore e permettere alla classe medica di ricevere una maggior informazione significa agire su un rapporto privilegiato, quello medico-paziente, spesso il primo punto di contatto che un tabagista ha con il mondo della cessazione. 

Pochi infatti sono i fumatori che spontaneamente si presentano nei centri antifumo: molto spesso è proprio il medico di base a consigliare di smettere, ma se il medico stesso non possiede le informazioni necessarie per consigliare possibilità alternative, allora anche il paziente rimarrà all’oscuro.

L’approccio da parte del fumatore la fumo elettronico, se supportato dall’oggettività e dalla trasparenza intrinseca del rapporto medico-paziente, oltre che rafforzare l’alleanza terapeutica potrebbe implementare l’orizzonte delle strategie di cessazione.