Le mode vanno e vengono: ciò che a un certo punto sembra diventare vecchio e “già visto” viene immediatamente rifilato nel dimenticatoio, alla velocità di un click sui social media. E dopo anni si può assistere a un ritorno, nell’ottica della continua ricerca del nuovo e della tendenza.
E sebbene questa tendenza alla riscoperta del vintage potrebbe inserirsi ai margini dei discorsi di economia circolare e sostenibilità, ci sono esempi di mode che pensavano ormai di aver incasellato alla voce “non cool” con un discreto margine di sicurezza.
A mettere la pulce nell’orecchio, un articolo apparso recentemente sul New York Times, che si interroga se la percezione sull’aumento di persone che fumano sia dovuto a una semplice casualità e al numero di limitato di persone in circolazione o se invece stiamo assistendo a un ritorno, a una seconda primavera tabagica.
Un dato che per il momento non trova conferma in studi e ricerche, che anzi attestano un percentuale di fumatori più bassa rispetto al passato.
E allora da cosa deriva questa sensazione?
La pandemia ha alimentato tre effetti secondari molto spiacevoli: il primo, più evidente, è legato alla solitudine generata dai periodi di confinamento e mancanza di contatto sociale.
Esistono diverse studi internazionali secondo i quali durante la pandemia, la convivenza forzata con altri membri della famiglia e l’impossibilità di fumare nelle proprie abitazioni, oltre che alla paura che la sigaretta rappresentasse un fattore di rischio per una patologia respiratoria come il Covid-19, abbia diminuito il numero di fumatori.
Allo stesso tempo, ansia e solitudine hanno dipinto le tonalità dei grigi del nostro umore, due trigger emotivi che tendono ad aumentare la necessità di rifugiarsi in una pratica da sempre connessa all’evasione e al relax.
In secondo luogo, la pandemia ha alimento una delle paure più profonde e inconsce dell’essere umano: la paura di morire.
E da alcune interviste raccolte dal giornalista del New York Times è emerso che propria questa irrazionale paura verso un nemico mortale ha alimentato un effetto interessante: a fronte di una situazione così allarmante, il rischio spalmato sul lungo periodo del fumo è sembrato meno preoccupante e imperante del Covid-19.
Un discorso che non trova coincidenza con la realtà e che, speriamo, sia limitata a un campione ristretto di persone, ma che apre uno spaccato interessante sui complessi meccanismi psicologici che regolano il comportamento di fronte a un fattore di stress.
Esiste poi un ultimo fondamentale aspetto: avevamo già trattato quanto il paragone con i canoni proposti dai social media fosse fondamentale per approcciare o abbandonare la sigaretta.
Sono ancora troppo diffusi personaggi di riferimento mediatici che intendono il fumo come una pratica cool da sfoggiare. Allo stesso tempo, il bisogno di riunirsi e di condividere diventa necessario per ritrovare quel senso di socialità che era andato perduto nei lunghi mesi di solitudine o di allontanamento dalla società.
E il vaping come si colloca in tutto questo?
I dibattito sui metodi alternativi a rilascio di nicotina è quanto mai aperto: sappiamo che il mercato statunitense è particolarmente contrario al fumo elettronico.
La percezione generale, alimentata da una malsana informazione scientifica, è che le prove sugli effetti a lungo termine del vaping siano ancora insufficienti e che tale pratica sia semplicemente il colpo di coda dell’industria tabagica per alimentare il fatturato sul tabacco.
La demonizzazione di questo strumento è più forte degli studi internazionali indipendenti che dimostrano quanto in realtà ci sia di sbagliato nella precedente affermazione: standard metodologici implementati e studi sul lungo periodo confermano infatti che il vaping è molto meno dannoso (più del 90%) della sigaretta.
Di fronte alla scelta fumo tradizionale o elettrico, la scelta dovrebbe orientarsi immediatamente verso i dispositivi più sicuri: la strada per uscire dalla pandemia è ancora lunga, ma abbandonare la lotta verso scelte più consapevoli e migliori significa tornare indietro di decenni nella lotta al fumo.
Giornalista praticante, collabora con LIAF, dove scrive di salute e attualità. Appassionata di sport, con un passato da atleta agonista di sci alpino, si diletta nell'indagare le nuove frontiere della comunicazione e della tecnologia, attenta alla contaminazione con generi e linguaggi diversi.