Catania, 15 Febbraio 2021 – Fumare e svapare all’aperto o nelle vicinanze di altre persone può aumentare il rischio di contagio o di trasmissione del virus? A chiederselo è stata tutta la comunità scientifica in questi mesi ma poche sono state le risposte. Secondo l’ultimo studio condotto all’interno dei laboratori del CoEHAR dell’Università degli Studi di Catania dal gruppo di ricerca coordinato dal prof. Riccardo Polosa, rispetto al normale respiro, svapare incrementa solo dell’1% il rischio connesso alla trasmissione del coronavirus.
Per capire meglio i risultati dello studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, basta pensare che 2 minuti di tosse nell’arco di un’ora corrispondono a un aumento del rischio del 260% e parlare per 6 minuti comporta un aumento del rischio del 44%.
“In considerazione della brevità dell’atto della svapata, del tempo di esposizione e dei dati statistici su carica virale e tassi di infezione, svapare comporterebbe un aumento di solo l’1% del rischio connesso alla trasmissione del coronavirus rispetto alla normale attività respiratoria a riposo” – afferma Polosa.
Sia l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che il CDC, il Centro per il Controllo della Prevenzione e Malattie statunitense, hanno da tempo riconosciuto il ruolo che le goccioline di saliva emesse durante qualsiasi attività respiratoria hanno nella trasmissione del Covid-19. I ricercatori del CoEHAR, Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania, si sono spinti oltre e grazie alla collaborazione con l’Istituto di Scienze Nucleari di Città del Messico e la Myriad Pharmaceuticals di Auckland hanno valutato la possibilità che le goccioline emesse da uno svapatore infetto durante l’esalazione dell’aerosol delle sigarette elettroniche possano aumentare il rischio di contagio.
Il metodo
Mancando dati specifici relativi all’emissione di microparticelle nel vaping, sono stati presi come modello i dati di esalazione del fumo delle sigarette convenzionali: i fumatori solitamente espirano una miscela di fumo e aria con un volume del 30-40% maggiore del normale volume respiratorio a riposo. Sono stati utilizzati come parametri la quantità di sbuffi prodotta in media durante lo svapo, le dimensioni delle goccioline emesse, la temporalità limitata dell’azione e i dati sulla carica virale del Covid-19 e gli altri parametri di infezione per procedere a valutare il tasso di rischio considerando lo scenario classico di una abitazione o di un ristorante con normale ventilazione.
Conclusioni
Nello studio sono stati valutati due diverse tipologie di scenario: sia abitazioni private che luoghi pubblici, chiusi e all’aperto. Lo scenario “casa” ha inciso moltissimo per la propagazione del virus: vivere in maniera rilassata la propria abitazione senza precauzioni ovviamente aumenta le probabilità di contagio. In tal caso, svapare non comporta significativi aumenti del rischio, in presenza di comportamenti, come il vivere insieme o il parlare, che comportano rischi maggiori.
L’altro scenario considerato è quello dei luoghi chiusi, con una sufficiente ventilazione naturale e meccanica: in presenza di tutte le norme di prevenzione, il vaping comporta solo l’1% di rischio aggiunto. Inoltre la possibilità di vedere il fumo emesso grazie allo svapo permette di visualizzare concretamente gli sbuffi e, nel caso, evitarli: molto più sicuro che attività quali il parlare o il tossire.
“Studiare e comprendere quale sia il ruolo delle diverse attività respiratorie nella trasmissione del virus è di fondamentale importanza per migliorare le strategie dirette al contrasto della diffusione dell’infezione e per informare correttamente la popolazione – ha concluso il Prof. Riccardo Polosa – ciononostante sebbene lo svapo rappresenti un rischio di contagio irrisorio è comunque vitale il distanziamento sociale e le buone regole di comportamento contro il Covid19”.
Link: https://www.mdpi.com/1660-4601/18/4/1437/htm