Molto spesso, durante la formulazione di un’ipotesi, si può partire dal concetto diametralmente opposto, dalla versione più bizzarra e meno probabile.
Una teoria che Platone ben esprime nel Parmenide, l’opera della maturità, che lascia riflettere il lettore con la domanda “che farai dunque della filosofia?”.
La dialettica viene infatti descritta come un processo filosofico in cui, dopo la formulazione dell’ipotesi, si analizzano le conseguenze che ne derivano: se la conseguenza contraddice l’ipotesi, questa va considerata insostenibile e dunque falsa. Un dedalo logico intricato e un esercizio mentale complesso.
Certo, la dottrina del ragionamento logico si è evoluta, scissa dalla ricerca scientifica, basata su un modello empirico per essere ritenuta valida. Ma proviamo per un momento ad esercitarci in questo gioco logico.
Nelle ultime settimane, la diffusione a livello mondiale di un nemico subdolo e invisibile, il COVID-19 ha avuto l’effetto di una testata nucleare, ridisegnando improvvisamente il tessuto economico e sociale, dimostrandone la fragilità. Rapporti umani e monetari sono cambiati e ad oggi non è dato sapere quale saranno le conseguenze sul lungo periodo.
Come mai prima d’ora, medicina ed economia si sono dimostrate essere interconnesse su più livelli, il collasso di una legata a quello dell’altra. Per salvaguardare il fragile sistema economico, la creazione di un vaccino sembra essere la meta di una vera e propria corsa all’oro, la cui lista di partecipanti aumenta giorno dopo giorno.
Ma in attesa di una valida terapia di immunizzazione, dobbiamo ricorrere alle strategie che ad oggi funzionano.
Garantire che il personale medico sanitario sia in grado di accedere a protocolli non solo contentivi, ma anche terapeutici è ad oggi la nostra migliore possibilità, fornendo dati precisi su quali tipologie di pazienti con il coronavirus andranno incontro a un peggioramento più velocemente di altri.
Ma cosa c’entra in questo discorso su COVID-19 l’esercizio che Platone richiede nel Parmenide?
Bene, partiamo dall’ipotesi che noi sappiamo essere vera che i componenti presenti nelle sigarette convenzionali creano nel lungo periodo un complesso quadro clinico, rappresentando un fattore di rischio per i pazienti affetti da altre patologie.
Se seguissimo questa ipotesi, i fumatori affetti da COVID-19 andrebbero incontro a un elevato tasso di complicazioni, come molte ricerche sembrano suggerire. Per Platone per dimostrare la veridicità di questa ipotesi dovremmo confermare la falsità dell’ipotesi opposta, ovvero secondo la quale i fumatori sono meno esposti ai rischi da coronavirus.
Secondo un recente studio di Farsalinos, analizzando i dati provenienti dalla Cina sui pazienti ospedalizzati affetti da COVID-19, si è notato un numero insolitamente basso di pazienti tabagisti, soprattutto in un paese come quello asiatico dove il tasso di fumatori è altissimo. Dati simili sono sono emersi anche in USA, dove il CDC parla di un incidenza del Covid-19 tra fumatori dell’1.3% contro il 16.5% di fumatori nella popolazione.
Certo, la situazione emergenziale che gli operatori del settore si trovano ad affrontare e i numeri elevati di pazienti gestiti (ad oggi i casi da coronavirus nel mondo superano i 2 milioni) non garantisce la totale sicurezza scientifica.
Ma se seguissimo questa pista dovremmo arrivare all’assunto che il fumo abbia una funzione protettiva anzichè distruttiva, in relazione all’epidemia.
Dobbiamo forse incentivare al fumo? Ipotesi non giustificabile nemmeno di fronte all’emergenza.
Ma quello che i dati ci suggeriscono porta all’idea di un percorso terapeutico controllato a base di nicotina, che sappiamo non essere dannosa se assunta in dosi minime e controllate, a maggior ragione se scissa dai componenti tossici contenuti nelle sigarette convenzionali. Secondo gli autori dello studio, la nicotina, interagendo con i recettori responsabili della risposta immunitaria, impedisce di contrarre forme gravi del virus.
Nessuno, in una situazione emergenziale come quella attuale, si lancerebbe nel proporre soluzioni medico-sperimentali che nel lungo periodo potrebbero risultare dannose, ma perché non monitorare con attenzione i dati che provengono da paesi come la Svezia, dove la percentuale di utilizzatori di snus è elevata? Alla stessa maniera, si potrebbero analizzare i dati di utilizzo di sistemi alternativi a base di nicotina, come le sigarette elettroniche.
Siamo in una fase di stallo e non possiamo permetterci di tralasciare nulla di intentato. Scienziati e ricercatori di tutto il mondo devono mettere da parte le loro remore sia scientifiche che ideologiche e abbracciare la possibilità di intraprendere tutti i percorsi di validazione scientifica possibili anche quelli meno ortodossi.
Giornalista praticante, collabora con LIAF, dove scrive di salute e attualità. Appassionata di sport, con un passato da atleta agonista di sci alpino, si diletta nell'indagare le nuove frontiere della comunicazione e della tecnologia, attenta alla contaminazione con generi e linguaggi diversi.