In occasione del World No Tobacco Day, celebrato lo scorso 31 maggio, l’Eurispes ha analizzato le abitudini di fumatori e svapatori, osservando l’andamento della percentuale di tabagisti negli ultimi 15 anni.
I tassi di fumatori non hanno mai subito un calo drastico e significativo: l’andamento è stato altalenante, senza mai riservare grosse sorprese. Ma quello che colpisce è che, secondo i dati dell’istituto di ricerca, oltre 11,5 milioni di fumatori non riescono o non vogliono proprio smettere: alla domanda diretta sullo smettere di fumare, circa il 21,9% (ovvero 1 fumatore su 5), risponde “assolutamente no”.
Il 30,5% afferma che dovrebbe farlo ma non vuole e il 26,3% afferma che dovrebbe, ma non si ritiene in grado di abbandonare il vizio. Il 12,3% vorrebbe smettere, ma non nell’immediato futuro. Solo il 9% degli intervistati dichiara di avere intenzione di smettere nei prossimi 6 mesi.
Il commento del prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR
Durante l’intervista di Matteo Viviani al prof. Riccardo Polosa del 31 Maggio, diffusa in diretta LIVE sui canali social di LIAF, lo stesso Polosa ha affermato:
“L’aumento del tabagismo e’ strettamente collegato al lockdown e alle preoccupazioni finanziarie delle persone. Lo abbiamo dimostrato anche con il questionario LIAF diffuso durante il periodo di chiusura totale in Italia. I governi hanno tenuto i tabacchini aperti in perché considerate attività essenziali. E questo non è altro che il risultato (atteso). Inoltre – ha aggiunto lo scienziato catanese – in Paesi in cui la sigarette elettronica risulta popolare (vedi Uk e Islanda) non si sono registrati aumenti significativi del tabagismo. Paesi che invece hanno implementato restrizioni severe allo svapo, hanno visto aumentare vertiginosamente il numero di tabagisti”.
Ma gli strumenti e le terapie offerti dalla sanità pubblica sono efficaci?
Se analizziamo i dati sullo zoccolo duro dei fumatori, quelli per intenderci che non ha intenzione di smettere, qualora decidano di approcciarsi a percorsi di cessazione, si trovano di fronte a soluzioni limitate: accanto i tradizionali farmaci e cerotti, non viene fornita infatti alcuna informazione su strumenti alternativi che possano gradualmente accompagnare il paziente in un percorso di cessazione.
Questo di traduce in dati concreti: la media annua di fumatori che si reca nei centri antifumo pubblici o convenzionati è inferiore ai 10.000 l’anno. Chi invece si rivolge direttamente a medici di medicina generale, si trova ad affrontare molto spesso una scarsa preparazione in materia: il 56,6% dei fumatori infatti non ha ricevuto alcun consiglio in merito dal proprio medico (il 31,5% dichiara, invece, di essere stato spronato a smettere di fumare e all’11,9% è stato suggerito di passare ad un prodotto meno dannoso).
Cosa consigliare dunque ai fumatori italiani?
Per l’Istituto di ricerca una soluzione esiste ed è rappresentata dai dispositivi a rischio ridotto, come le sigarette elettroniche e i prodotti a tabacco riscaldato. Ma il principio della riduzione del rischio entra in conflitto con quello di precauzione, che sposta l’attenzione sui rischi relativi di questa categoria di strumenti.
“Molti paesi in Europa si stanno orientando verso alternative come le sigarette elettroniche – ha spiegato Polosa – stiamo assistendo al risultato di un’altra occasione mancata. Il No Tobacco Day doveva essere per le autorità italiane ed estere un occasione imprenscindibile per pronunciarsi a favore di una scelta che rappresenta un’alternativa salvavita. È chiaro che le terapie e l’approccio tradizionale non funzionano. Il dubbio generato dall’attesa nel valutare i rischi residuali delle sigarette elettroniche, ci sta facendo perdere tempo. E intanto le persone continuano a morire. Il focus deve essere spostato su fumatori, su chi ha bisogno, e non sul dibattito politico”.
Il panorama internazionale sempre di più si avvia ad accettare queste nuove terapie: in primis in Inghilterra, dove il dibattito sul vaping ha portato un gruppo in seno al Parlamento a minacciare di togliere i fondi all’OMS se non verranno modificate le norme sul fumo elettronico.
In Giappone, il fumo elettronico ha conquistato il 20% del mercato del fumo tradizionale. In Italia, secondo i dati Eurispes del 2019, gli utilizzatori, anche duali e occasionali di ecig, sono il 20,8% dei fumatori, mentre quelli dei prodotti a tabacco riscaldato il 7,2%.
“La sigaretta elettronica e i prodotti a tabacco riscaldato rappresentano una concreta via per la cessazione. Smettere di fumare è una questione di vita o di morte. Esistono dati scientifici e prove a sostegno delle terapie di riduzione del danno. Perchè non accettarle? Noi di LIAF ci impegnamo quotidianamente a proporre la giusta informazione. È arrivato il momento di una presa di coscienza sull’argomento”, così ha concluso Ezio Campagna (presidente LIAF) durante il suo intervento per il No Tobacco Day catanese.
Giornalista praticante, collabora con LIAF, dove scrive di salute e attualità. Appassionata di sport, con un passato da atleta agonista di sci alpino, si diletta nell'indagare le nuove frontiere della comunicazione e della tecnologia, attenta alla contaminazione con generi e linguaggi diversi.