mercoledì, Ottobre 30, 2024
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Genitori italiani a LIAF: dire “smetto quando voglio” non è realistico

Sentirsi parte di un gruppo, avere un assaggio di qualcosa di proibito: il vizio del fumo è subdolo e, nel corso dell’ultimo decennio, ha trovato sempre più adepti tra i giovanissimi.

Soprattutto negli anni ’80 e ’90, la simbologia ricorrente associata alla sigaretta identificava il fumo come tipico del mondo degli adulti, un atteggiamento che immediatamente garantiva il raggiungimento di uno status symbol.

Un trend che, negli ultimi anni, ha portato l’età media dei ragazzi che provano per la prima volta a fumare ad abbassarsi ulteriormente: secondo i dati della rilevazione HBSC-Italia del 2018, promossa dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS, circa uno studente su cinque tra i 13 e i 15 anni di età ha fumato più di una sigaretta nel corso del mese precedente l’indagine.

A 15 anni si rileva una spiccata differenza di genere, con il 31,9% delle ragazze intervistate che fuma rispetto al 24,8% dei ragazzi.

Le motivazioni che spingono i ragazzi a provare sono riconducibili alla necessità, in fasi delicate come la preadolescenza e l’adolescenza, di superare quel senso di non appartenenza, quella difficoltà di relazione e interazione che molto spesso si sperimenta nel periodo transitorio di passaggio all’età adulta.

E per quanto riguarda l’acquisto di un pacchetto, il limite di età minimo consentito dalla legge non sembra essere un problema: circa il 15% degli intervistati è riuscito ad acquistare le sigarette al distributori automatici, mentre il 68% degli stessi ammette di aver comprato le sigarette presso i tabaccai.

Non serve uscire di casa per trovare una sigaretta: molti giovani vengono esposti al fumo passivo anche all’interno delle mura domestiche. L’abitudine al fumo degli adulti di casa, inoltre, garantisce che i ragazzi abbiano accesso alle sigarette facilmente: e pensare che nel nostro apparato normativo l’istigazione viene sanzionata o punita.

Ma come approcciarsi nei confronti di un figlio che fuma?

Sicuramente non attraverso il divieto: meglio un approccio più fondato sul dialogo e sulla percezione dei rischi connessi al fumo, magari sfruttando attività come il gaming e la realtà virtuale per aumentare l’impatto dialogico.

Per meglio comprendere che relazione intercorre tra giovani e fumo anche all’interno del contesto famigliare, abbiamo intervistato Rosaria D’Anna, Presidente Nazionale AGe, Associazione Genitori italiani.

Rosaria D’Anna, Presidente Nazionale AGe

Che dati possediamo in merito alla diffusione del fumo tra i giovani italiani?

Dai dati in nostro possesso, recepiti durante la Giornata Mondiale contro il tabacco, l’approccio alla prima sigaretta è sceso ulteriormente in termini di età , ben al di sotto dei 18 anni. È un dato preoccupante perché l’approccio medio in molti casi avviene a partire dai 12 anni.

Quali sono i fattori di rischio che aumentano le probabilità di approccio?

Innanzitutto, credo che in generale si sia abbassata la guardia: nelle scuole si avviavano progetti di prevenzione che informavano sui pericoli connessi al tabagismo. Adesso percepisco una vera e propria mancanza di campagne educative all’interno delle scuole. Noi privilegiamo l’approccio educativo rispetto al mero divieto: inutile vietare senza instillare nei ragazzi la consapevolezza che stanno approcciando un atteggiamento molto dannoso. Grazie al confronto con pediatri e medici, abbiamo rilevato che il fumo è strettamente connesso a problematiche relative allo sviluppo, se si accende la prima sigaretta troppo presto.

Quali azioni si potrebbero implementare per evitare che i ragazzi inizino a fumare, anche all’interno del contesto famigliare?

La famiglia dovrebbe essere il primo esempio, cercando di sviluppare un dialogo costruttivo per evitare le problematiche che abbiamo individuato. Dal nostro punto di vista, inoltre, non basta mettere semplici foto sui pacchetti di sigaretta: servono campagne preventive serie, iniziando sin dalle scuole medie. Gli adolescenti provano per sentirsi grandi, ma più vanno avanti più si ritrovano ad essere prigionieri di un vizio. Dovremmo iniziare con campagna preventive e di sensibilizzazione: senza un’opportuna consapevolezza dei pericoli della dipendenza non possiamo creare un cambiamento significativo. Non sarebbe quindi meglio educare prima piuttosto che trovarci con un problema più grande dopo?

Che invito si sente di rivolgere ai ragazzi?

Credo, per quanto mi riguarda, che i ragazzi prima di approcciare le sigarette dovrebbero essere più consapevoli delle conseguenze a lungo termine e della difficoltà di smettere. Molti pensano di poter smettere quando vogliono, in realtà quando si fuma si sviluppa sin da subito una dipendenza con gravi conseguenze a livello di salute.

Come mamma e come Presidente posso dire questo: non approcciate, nemmeno per scherzo, pensando di riuscire a smettere quando volete, perché non è cosi”.

chiara nobis

Giornalista praticante, collabora con LIAF, dove scrive di salute e attualità. Appassionata di sport, con un passato da atleta agonista di sci alpino, si diletta nell'indagare le nuove frontiere della comunicazione e della tecnologia, attenta alla contaminazione con generi e linguaggi diversi.

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