Tra i fattori di rischio più noti che influiscono sul decorso patologico del diabete troviamo il fumo di sigaretta, che, secondo gli esperti, aumenta di circa il 40% le possibilità di sviluppare la patologia rispetto a un non-fumatore
Il diabete è una malattia che si caratterizza per un’elevato livello di glucosio del sangue, dovuto a un’alterazione nella produzione o nella funzione dell’insulina, un ormone secreto dal pancreas che ha come ruolo quello di regolare il passaggio del glucosio nel sangue e il suo accumulo come fonte energetica.
Secondo i dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità, si stima che, oggi, siano più di 4 milioni gli italiani affetti da diabete, la cui forma più comune, che colpisce circa il 90% della popolazione, è quella del diabete mellito di tipo 2.
La causa di questa forma della patologia è ancora ignota, anche se è certo che il pancreas riesca a produrre insulina, che però il nostro organismo non riesce a riutilizzare. Si manifesta principalmente dopo i 40-50 anni con una prevalenza del 23%, rispetto al 5% della popolazione che lo sviluppa sotto i 50.
Diversi sono i fattori di rischio che incidono sullo sviluppo precoce e sul peggioramento del quadro clinico di chi ne è affetto, tra cui sedentarietà, alcol, scarso consumo di vegetali e frutta. Ma tra le cause principe non si può non annoverare il fumo di sigaretta.
Sempre secondo l’ISS, nel periodo preso in considerazione per l’analisi dei dati sulla popolazione diabetica, dunque tra il 2016 e il 2022, fra chi riferisce una diagnosi di diabete: il 25% dei 18-64enni e il 10% degli ultra65enni è ancora fumatore, il 31% dei 18-64enni e il 22% degli ultra65enni è obeso e il 48% dei 18-64enni e il 71% degli ultra65enni è iperteso.
La combinazione di iperglicemia e sostanze tossiche inalabili presenti nel fumo di sigaretta può accelerare la progressione delle complicanze legate alla malattia (ad esempio, malattia coronarica, ictus, malattia arteriosa periferica, retinopatia e nefropatia).
Inoltre, questi pazienti manifestano effetti comportamentali e metabolici unici che dovrebbero essere presi in considerazione quando si affronta la cessazione del fumo nel diabete di tipo 2; ad esempio, i fumatori con diabete possono sperimentare una minore motivazione a smettere a causa del rischio di aumento di peso dopo la cessazione, che terrorizza i pazienti a causa di un rialzo della glicemia parafisiologico, aumentando così il rischio di ricaduta.
“Le complicanze dell’interazione tra una patologia complessa come il diabete ed il fumo di sigaretta sono da valutare con particolare attenzione” spiega il dott. Davide Campagna, ricercatore di medicina interna e dirigente medico MCAU “ed espongono a un rischio elevato i pazienti che non riescono a smettere e che continuano a farlo. La chiave per apportare un cambiamento in una popolazione così vulnerabile passa da due linee d’azione bene distinte: da una parte il binomio prevenzione-educazione alla salute, dall’altra l’integrazione di strategie alternative che possano mitigare parzialmente il danno”.
Proprio per valutare un cambiamento nell’approccio al diabetico, il CoEHAR di Catania ha riunito un gruppo di diabetologi internazionale che indirizzato una lettera all’American Diabetes Association (ADA) per apportare dei cambiamenti alle linee guida nel trattamento dei pazienti affetti da questa patologia.
Gli esperti, infatti, promuovono pratiche basate su prove scientifiche nella cura del diabete e sottolineano l’importanza di allineare le linee guida con la ricerca scientifica attuale. Sostengono che un approccio sfumato e basato sulle evidenze è imperativo per fornire raccomandazioni accurate alle persone che gestiscono il diabete e le abitudini di fumo, anche per quanto riguarda i dispositivi a rischio modificato.
“Considerare l’approccio al paziente diabetico significa adoperare in primis un cambio di mentalità: di fronte a una paziente fumatore che non riesce o non vuole smettere di fumare, incorrendo in una degenerazione progressiva delle complicanze della malattia, è bene valutare un approccio integrato che sfrutti il principio della riduzione del danno per attenuare i sintomi negativi di una patologia cronica” conclude il prof. Riccardo Polosa, Fondatore del CoEHAR ed esperto di riduzione del danno.
Giornalista praticante, collabora con LIAF, dove scrive di salute e attualità. Appassionata di sport, con un passato da atleta agonista di sci alpino, si diletta nell'indagare le nuove frontiere della comunicazione e della tecnologia, attenta alla contaminazione con generi e linguaggi diversi.