Secondo una recente analisi dei ricercatori del CoEHAR, l’associazione tra ospedalizzazione per COVID-19 e obesità é forte e chiara.
Il meccanismo di questa associazione è ancora sconosciuto ma sono state avanzate diverse ipotesi che richiamano sia a meccanismi patobiologici che patofisiologici. I soggetti con alti indici di massa corporea, infatti, hanno una maggiore predisposizione a complicazioni anche mortali per via dell’infezione da SARS-CoV-2.
Ma quali sono effettivamente le complicazioni di malattia alle quali sono più di frequente esposti i pazienti obesi?
Quali i percorsi terapeutici dedicati? Quali sono le possibili ipotesi di lavoro che possiamo sviluppare partendo da queste analisi iniziali? Quali i consigli da dare alle persone obese nel contesto di questa pandemia?
Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato uno degli autori dell’analisi intitolata “COVID-19 and Obesity: Dangerous Liaisons” e pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista Journal of Clinical Medicine.
La prof.ssa Adriana Albini, Responsabile del Laboratorio di Biologia Vascolare e Angiogenesi dell’IRCCS MultiMedica di Milano, e co-autrice del nuovo studio (insieme ad alcuni membri del CoEHAR tra cui il prof. Riccardo Polosa, Grazia Caci, Mario Malerba, Douglas Noonan e Patrizia Pochetti) ci aiuterà a comprendere meglio le implicazioni di questa ricerca.
Buongiorno Adriana, ci si poteva aspettare un alto numero di pazienti obesi tra gli ospedalizzati a causa del Covid-19 o è stata una sorpresa?
“All’inizio non si sapeva esattamente cosa avrebbe determinato la gravità della malattia e del suo decorso: è stato evidente fin quasi da subito i quadri piú infausti erano associati alla presenza di co-morbiditá come ipertensione, e diabete mellito, oltre ad altri disturbi cardiovascolari. Siamo rimasti sorpresi di vedere che anche l obesitá era costantemente e significativamente associata con COVID-19 e particolarmente cone le sue forme piú gravi“.
Quali sono le problematiche più rilevanti che un paziente obeso si trova ad affrontare qualora contragga il COVID-19?
“Vi sono molteplici aspetti. Quello più scientifico è basato sul fatto che il COVID-19 induce una cascata infiammatoria che nel paziente obeso, che di per sé presenta già una patologia con aspetti infiammatori, si aggrava. L’altro riguarda la difficile gestione della circolazione sanguigna e della respirazione, che vengono compromesse dall’infezione e in qualche modo peggiorano. Dobbiamo anche considerare aspetti meccanici: la persona obesa, ad esempio, è difficile da intubare. Si può aggiungere che proprio questa epidemia ha in qualche modo evidenziato il fatto che l’obesità deve essere considerata una vera e propria patologia e non una condizione di sovrappeso”.
Quali sono le raccomandazioni che questa categoria di pazienti deve tenere a mente per tutelare la propria salute?
“In generale bisogna sensibilizzare l opinione pubblica e i decisori del governo al contenimento del fenomeno del sovrappeso e dell’obesità sin dalla etá pediatrica con il contrasto alla alimentazione smodata. Un progressivo aumento deve essere contrastato con prontezza mettendo in campo tutte quelle misure, dietologiche, psicologiche e di attività fisica che possano porre un freno alla crescita ponderale”
Lo studio
La correlazione tra l’obesità e il Covid-19 é emersa recentemente, ma ancora oggi molte delle casistiche non tengono conto di eventuali altri fattori (ad esempio: età, dieta, diabete, etc).
Tuttavia, anche indipendentemente dal fattore etá, l’obesità appare essere un fattore di rischio indipendente per l’evoluzione dell’infezione da coronavirus.
Essa è spesso associata al funzionamento ridotto dei polmoni, oltre che a condurre verso complicazioni quali disfunzioni renali e cardiovascolari, ipertensione e danni vascolari generalizzati, cause che accentuano il decorso negativo dell’infezione.
In uno studio condotto nello stato di New York, su un totale di 5700 pazienti, l’obesità rappresentava il 41.7% delle comorbidità. Durante l’ospedalizzazione, il 12.2% dei pazienti è stato sottoposto a ventilazione meccanica. Trattamento complesso in questa categoria di pazienti, poiché i depositi adiposi attorno alla laringe e alla faringe creano non poche difficoltà. Molti studi in materia si focalizzano sulla correlazione tra l’obesità e il sistema renina-angiotensina, che consiste in una serie di reazione enzimatiche che conducono alla formazione di differenti peptidi di angiotensina. Correlazione rilevante poiché, una volta entrato nelle cellule, il virus SARS induce una sistematica sottoregolazione di ACE2, l’enzima di conversione dell’angiotensina: la presenza dell’ACE2 nei tessuti adiposi sembra favorire infatti l’ingresso del virus all’interno dell’organismo. In aggiunta, i pazienti obesi sembrano avere una durata dell’infezione maggiore, ospedalizzazioni più lunghe e trattamenti di ossigeno più intensi.
A peggiorare il quadro clinico, interviene la predisposizione di tali pazienti a sviluppare infiammazioni croniche, aumentando la circolazione delle citochine proinfiammatorie, che giocano un ruolo fondamentale nella degenerazione dell’infezione da coronavirus.
Queste scoperte potrebbero dunque portare alla formulazione dell’ipotesi che un percorso di dimagrimento diminuirebbe le possibilità di rischio per i soggetti obesi.
Ovviamente tale assunto rappresenta una provocazione: sebbene l’attività fisica è provato avere generali effetti benefici, un repentino stress fisico causato da un’attività motoria intensa e rapida potrebbe avere un effetto depressivo sul sistema immunitario. Si può consigliare un l’esercizio fisico ai pazienti obesi, ma solo se in presenza di un programma di riabilitazione polmonare, e certamente solo in seguito alla guarigione dall’infezione da Covid-19.
Più semplicemente, i pazienti con elevati indici di massa corporea devono tutelarsi prestando molta attenzione alle norme di distanziamento sociale e utilizzando correttamente i dispositivi medici di protezione. COVID o meno, una volta passata la fase acuta, adottare uno stile di vita più sano, meno sedentario e controllare la dieta significa diminuire drasticamente i fattori di rischio per una serie di patologie legate al sovrappeso.
Valeria Nicolosi è giornalista, esperta in progettazione e comunicazione pubblica (sociale e istituzionale). Laureata in Programmazione delle Politiche Pubbliche nell’Università degli Studi di Catania, è anche masterizzata in Comunicazione Pubblica nell’Università IULM di Milano. L'amore e l'interesse nei confronti della formazione dell'opinione pubblica l’hanno portata a collaborare come consulente per LIAF con l’obiettivo di aiutarli a definire azioni utili per la diffusione e la sensibilizzazione della cultura antifumo. Valeria è oggi press office di LIAF e collabora anche con istituzioni ed enti pubblici diversi.