venerdì, Novembre 22, 2024
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Pandemia, distanza sociale, sexting: dipendenza o comportamento adattivo?

Uno studio qualitativo del CoEHAR e dell’Università degli Studi di Catania evidenzia come gli italiani percepiscano il sexting come una dipendenza.

Catania: Nei primi mesi del 2020 lo scoppio della pandemia e le successive restrizioni tese a limitare la propagazione del virus Covid-19 hanno limitato fortemente non solo le libertà di movimento degli italiani ma anche molte attività sociali, ludiche, personali. Tra le tante sfere della socialità umana quella che però ha più risentito delle limitazioni imposte dall’auto-isolamento è stata quella inerente la sessualità ed il sesso.

Uno studio recente condotto dal Prof. Pasquale Caponnetto docente di Clinica delle Dipendenze presso il Dipartimento di Scienze della Formazione (Disfor) e ricercatore del Centro di Eccellenza per la Riduzione del rischio (CoEHAR), pubblicato all’interno della rivista internazionale Journal of Addictive Diseases, ha esplorato le abitudini sessuali degli italiani ed in particolare il loro approccio al sexting, ovvero l’atto di inviare/ricevere messaggi, foto o video sessualmente espliciti tramite smartphone e PC.

Una pratica sicura che consente un certo livello di intimità eliminando qualsiasi possibilità di contagio ma che potrebbe portare con se conseguenze a livello psicofisico tra cui una dipendenza. La ricerca, coadiuvata dalla dr.ssa Marilena Maglia e dalla dr.ssa Flavia Gervasi, mira quindi a stabilire se questo fenomeno sia percepito come una potenziale dipendenza o semplicemente un comportamento di adattamento sociale, considerate le politiche di distanziamento sociale e coprifuoco dettate dalla pandemia.

Una ricerca qualitativa che, attraverso interviste condotte su un campione di 37 soggetti di età compresa tra i 19 ed i 39 anni, ha evidenziato come la percezione sia quella di una vera e propria dipendenza piuttosto che una conseguenza della situazione causata dal Covid-19.

Le domande a cui la ricerca ha cercato di trovare risposta sono in relazione all’attuale condizione sociale dei partecipanti ed, in particolare: sul come viene percepito il sexting; se tale fenomeno sia da considerare come un tentativo di provvedere al benessere sessuale dell’individuo nel rispetto delle norme anti-Covid-19 o se il sexting possa diventare una dipendenza.

Attraverso una tecnica di campionamento probabilistico, sono stati reclutati con i social media trentasette soggetti divisi omogeneamente tra uomini e donne (50/50). Le modalità di somministrazione delle domande sono state quelle dell’intervista classica, utilizzando un colloquio semi-strutturato per accedere alla prospettiva personale dell’intervistato. Tra le altre caratteristiche del campione in esame, il 73% ha ammesso di aver utilizzato la pratica del sexting, con la stragrande maggioranza dei partecipanti (97.30%) che ha affermato di non essere sposato.

L’analisi tematica del campione ha evidenziato la presenza di quattro categorie e temi correlati tra cui: la percezione pre e post lockdown; la dipendenza dal sexting durante la pandemia; i pro e i contro della pratica del sexting; il sexting come adattamento alle restrizioni o potenziale dipendenza.

Secondo il prof. Pasquale Caponnetto: “I risultati della ricerca hanno confermato le ipotesi di studio, ovvero che la percezione riguardo al sexting sia cambiato a causa della situazione di emergenza sanitaria creata dal Covid-19. Le evidenze sottolineano infatti come alcuni partecipanti abbiano praticato sexting per la prima volta durante il lockdown, mentre la maggioranza del campione ha affermato di aver percepito un aumento nel bisogno di tale pratica”.

Tra gli aspetti positivi emersi, il sexting viene considerato dagli intervistati come una buona strategia di “sollievo” e come aiuto nella riduzione della distanza percepita rispetto agli altri. Tra gli aspetti negativi, la maggior parte del campione in esame (85%) considera il fenomeno più come una potenziale dipendenza che come un comportamento adattivo rispetto alla situazione creata dalla pandemia.

LINK allo studio: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34196603/

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