Da quanto è emerso da un nuovo studio condotto su un campione di lavoratori ad alto livello di stress, combinare supporto psicologico, vareniclina e dispositivi a rischio zero (privi di nicotina) può ridurre la possibilità di ricadute e favorire l’addio alla sigaretta in ambiente lavorativo.
Link allo studio:
Catania, 26 novembre 2021 – Negli ultimi 20 anni, l’azione in seno alle aziende a tutela delle risorse umane ha cercato di impostare attività di sostegno e prevenzione per contrastare la tendenza ad assumere cattive abitudini in condizioni di stress e difficoltà. Si deve però aspettare il primo decennio degli anni 2000, per i primi studi in merito alla correlazione tra abitudine tabagica e fattori di stress o di rischio in ufficio, con una ricerca che ha attestato quanto periodi di carico elevato siano determinanti nell’aumento o nella diminuzione nel numero di sigarette fumate quotidianamente.
Purtroppo, nonostante in questo ventennio i tassi di fumatori siano effettivamente diminuiti, o perlomeno assestati, la percentuale di fumatori che con successo riesce a mantenere l’astinenza rimane stabile. Solo una percentuale compresa tra il 30% e il 50% riesce a non ricadere nel vizio nonostante lo stress percepito in ambito lavorativo.
Ma cosa succede nel lungo periodo? È possibile combinare un approccio basato su diverse linee di intervento che favorisca la cessazione anche in un luogo, come quello lavorativo, in cui abitudini e atteggiamenti si influenzano vicendevolmente?
Queste sono le domande che si sono posti i ricercatori del CoEHAR, il Centro di Ricerca per la Riduzione del Danno da Fumo dell’Università degli Studi di Catania. Le risposte sono nell’innovativo studio “Impact of a soft tip nicotine-free harmless cigarette as part of a smoking cessation program with psychological support and varenicline: an integrated workplace smoking cessation intervention”, che ha valutato il comportamento di due gruppi di lavoratori/fumatori di un’azienda a cui è stato fornito supporto psicologico, terapia farmacologica a base di vareniclina e possibilità di utilizzare dei dispositivi considerati a rischio zero, privi di nicotina, i cosiddetti QuitGo.
Lo studio ha rilevato per la prima volta che l’utilizzo di prodotti a rischio ridotto può significativamente ridurre la dipendenza da nicotina, soprattutto in presenza di aspetti comportamentali dannosi.
LO STUDIO
Per questo studio, sono stati selezionati 120 fumatori (considerando cioè un numero di sigarette giornaliere fumate maggiore di 10 al giorno) di un centro di produzione di medicinali, che hanno manifestato alti livelli di stress correlato al lavoro. I lavoratori sono stati divisi in due gruppi di osservazione ma solo ad un campione selezionato è stata data anche la possibilità di utilizzare le QuitGo. L’astinenza veniva verificata attraverso controlli periodici a 4 e 24 settimane: dai dati di studi precedenti, i ricercatori si aspettavano di avere circa un 50% di fumatori capaci di abbandonare il fumo già nelle prime 4 settimane. Già dopo il primo mese, il 20% di partecipanti nel gruppo QuitGo e il 26.6% dell’altro non si è presentato. Percentuali che salgono al 25% nel primo gruppo e al 30% nel secondo. Solo il 76.6% del campione che ha utilizzato le QuitGo e il 72.5% hanno completato le visite a 4 e 24 settimane.
I RISULTATI
I risultati dell’analisi del modello logistico hanno mostrato possibilità più alte di smettere alla 24 settimana nel gruppo che ha utilizzato le QuitGo rispetto a quello con alti livelli di dipendenza da fumo. L’80% di tutti i partecipanti ha dichiarato che avere apprezzato il dispositivo come strumento per combattere i sintomi dell’astinenza.
Questa ricerca, che è la prima nel suo genere, ha indagato l’impatto e l’aiuto fornito da dispositivi che mimano la ritualità connessa al fumo, soprattutto in ambienti con alte percentuali di stress so di rischio, come quelli lavorativi.
Il prof. Pasquale Caponnetto, docente di clinica delle dipendenze dell’Università di Catania e membro del CoEHAR, ha affermato che: “Una percentuale di stress elevata è correlata a maggiori probabilità di tornare a fumare, indotte anche da scarse risorse personali, come l’incapacità di gestire frustrazione, stress o legate allo sviluppo di altre abilità sociali”.
La dr.ssa Marilena Maglia, prima autrice dello studio, ha spiegato come: “l’importanza di associare l’impegno per la cessazione tabagica al supporto di uno strumento innovativo ma a rischio zero, porti la persona, incentivata o meno, a mantenere costante l’attenzione sull’obiettivo. Per tale ragione diventa fondamentale istruire i lavoratori che fumano alla fidelizzazione con il prodotto a rischio ridotto come strumento utile soprattutto per la lotta alla dipendenza comportamentale”.
“Negli studi presenti in letteratura è confermata la necessità di monitorare il consumo tra i fumatori sul posto di lavoro, poiché esiste un’associazione tra dipendenza da sigarette e fattori di stress legati al lavoro, con tassi di prevalenza elevati per i fumatori che si attestano in almeno il doppio di quelli delle altre tipologie di consumatori” – così il prof. Giuseppe Santisi docente di Psicologia del lavoro e Coordinatore del Corso di studi in Psicologia.
“Questo studio – ha concluso il prof. Riccardo Polosa, fondatore del CoEHAR – ci permette di comprendere quanto la soddisfazione che deriva dalla gestualità conti più che quella indotta dalla nicotina, suggerendo per i futuri studi di valutare non solo molteplici ambienti lavorativi ma anche diverse figure professionali”.