domenica, Novembre 24, 2024
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Tobacco Transformation Index: le industrie si impegnano davvero?

Il Tobacco Transformation Index, lanciato a settembre 2021 su iniziativa della Foundation for a Smoke Free World, mira a valutare l’impegno delle 15 maggiori industrie del tabacco verso le politiche di harm reduction. Ma quanto è duttile come strumento?

di Costanza Nicolosi

Con 1.3 miliardi di fumatori nel mondo e oltre 8 milioni all’anno di morti per patologie fumo correlate, la valutazione degli sforzi delle major dell’industria del tabacco per ridurre l’impatto dannoso del fumo sulla popolazione assume un significato ancora più importante.

Con quasi il 90% della vendita totale mondiale di sigarette, le 15 aziende facenti parti dell’indice hanno un peso specifico importante sulle scelte dei consumatori e sulla distribuzione dei prodotto a base di tabacco sui mercati.

Se si osservano i dati di alcuni di questi grandi produttori che si sono impegnati nell’adottare scelte che contribuiscano alla lotta al tabagismo, valutati secondo i criteri di gestione aziendale quali marketing, strategia di vendita e lobbying, si nota come gran parte del loro business sia ancora incentrato sulle sigarette.

L’indice, nonostante la nascita recente, ha già ottenuto qualche effetto: la svedese MATCH AB ha difatti annunciato nel corso del 2021, il cambio di rotta nella vendita dei sigari, uno dei capisaldi della sua produzione che rappresenta circa il 28% dell’intero ricavo.

Lo scopo? Orientarsi  verso il tabacco orale e prodotti a base di nicotina come il tabacco da fiuto o quello da mastico.

Una scelta aziendale che avrà un impatto notevole sulla valutazione dell’indice. Tuttavia, se parlassimo di harm reduction in senso stretto, la decisione influisce semplicemente sulla proprietà del marchio e sull’eventuale vendita di sigari, che continueranno a rimanere in commercio. E la relativa valutazione dell’indice, se da un lato premierà la cessione, dall’altro non esprimerà giudizi su chi acquisirà il marchio, sopratutto in caso di aziende private o statali.

Il Tobacco Transformation Index ha dunque delle falle?

L’indice nasce con l’intento di dare una visione sintetica dell’approccio che moltissime aziende impegnate nella produzione di prodotti del tabacco hanno nei confronti delle scelte che possono ridurre il danno proveniente dai classici prodotti del tabacco.

In caso di situazioni come quella della Swedish Match, eventuali cambi societari non fanno parte del campo di applicazione dell’indice e comporterebbero un livello di analisi più dettagliato e che richiederebbe categorie ancora più specifiche.

Le difficoltà dell’indice stanno però proprio nel riuscire a riconoscere i comportamenti che si centrano e soddisfano alcuni criteri dell’indice, ma che non corrispondono a un reale impegno.

Un esempio? Eventuali cambiamenti di assetto societario o disinvestimenti specifici che aumenterebbero il ranking nell’indice ma che non sono lo specchio delle politiche dell’azienda.

Il Tobacco Transformation Index, inoltre, dovrebbe saper valutare il comportamento delle industrie anche in relazione ai paesi e alle geografiche a cui si legano le diverse attività, tenendo in considerazione il quadro normativo di riferimento, le abitudini dei consumatori e specifici fattori che influiscono sui mercati.

Da un punto di vista giuridico, una possibile evoluzione del Tobacco Transformation Index deve poter misurare in maniera sintetica anche un aspetto prettamente normativo e l’eventuale relazione tra questo e le attività di produzione e vendita dei prodotti a base di tabacco.

L’ambito di applicazione dell’indice è dunque alquanto difficile da delineare e si basa molto sulla capacità delle aziende di essere il più possibile trasparenti, favorendo la cooperazione per il raggiungimento degli obiettivi.

Il passaggio a un approccio di riduzione del danno è senza dubbio il primo ma anche il passo più concreto da compiere contro l’epidemia tabagica e verso un mondo veramente senza fumo. E l’Indice ne è una parte importante.

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